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Il testamento olografo di Luigi Baccino tagliato in sette parti…

Creato il 06 agosto 2014 da Yellowflate @yellowflate

Immagine della lapide sepolcrale di don BonaviaIl testamento olografo di Luigi Baccino tagliato in sette parti…

Nel mese di marzo di quest’anno finalmente si è potuto assodare che il
testamento segreto di Luigi Baccino, cioè quello olografo, scritto e firmato di
suo pugno alla presenza dell’amico on. le Adolfo Sanguinetti, nell’abitazione
cairese di vicolo Colombo, l’unico documento originale esistente, per
intenderci, era stato tagliato in sette parti uguali in una notte senza luna e
ogni sua parte inserita in una busta gialla, aveva preso ciascuna una strada
diversa.

Equinozio, la persona che avevamo stipendiato con iniziale entusiasmo affinchè
cercasse il testamento olografo, ipotizzò con sufficienza e ostentata
determinazione, che in definitiva si trattava di sei mezze pagine, più l’ultima
pagina scritta per tre quarti, ed era tutto quello che lui avrebbe dovuto
ritrovare per noi.

Ma con un po’ di fortuna, ci informò, poteva bastare entrare in possesso anche
solo di una pagina, nel caso in cui gli elementi utili fossero stati scritti
uno vicino all’altro. Non capimmo questa sua particolare conclusione e non
demmo eccessivo credito neppure a quello che lui aveva affermato prima con il
suo esagerato sussiego e l’ostentata sufficienza…

Gli ricordammo invece che il suo compito primario era quello di ritrovare le
tracce e gli elementi utili per recuperare in qualche modo il testamento,
informarci prontamente dei risultati e per il resto avremmo deciso
congiuntamente il procedere della ricerca che finanziavamo noi.

Noi, ovvero la ghenga di piazza Stallani, era formata dal fior fiore della
ricerca storica in valle: Gatto Bedò detto il Giocoliere, Matteo Mirinè detto
il Bagnacardo, Madama Rina Farina detta la Cruschetta, Toni Panatè detto il
Fornicatore, e Nato Murò detto Scindic der Punzan…

Nelle riunioni serali assai frequenti, sembrava emergere con sufficiente
chiarezza che il testamento di Baccino era stato nascosto nelle “septem cryptas
usque ad secundum millennium” fino al secondo millennio nelle sette cripte,
questo lo venimmo a sapere in seguito al ritrovamento di alcuni appunti nel
sottoscala del Palazzo…

Quello in via della Chiesa con lo stemma in pietra sul portone antico che era
diventato di proprietà dei Testa, che ci aveva indicato segretamente Madama
Farina.

Era una specie di profezia indotta tra il misterioso e il possibile, comunque
nessuna traccia consona o incredibile andava scartata a priori, soprattutto se
ci arrivava per via spirituale. Qualcuno aveva parlato anche delle nove porte
antiche di Cairo M.notte che custodivano particolari indizi, se non addirittura
parti del documento olografo di Baccino…

Ma a proposito, dove si trovava la prima cripta?

Dopo aver assolto minuziosamente tutte le principali incombenze protocollari
di scuola mascalcia, quelli dell’arte bianca, gli esperimenti di geomanzia,
eravamo consapevoli del fatto che nulla di tutto quello che stava avvenendo
succedeva per caso; ci assicurammo che e ad ogni passo si dovesse seguire, come
in un sogno, quanto era stato scritto e spiegato, sia pur a grandi linee, negli
antichi manuali.

Per prima cosa occorreva fiondarsi nell’Archivio di Stato di Savona a cercare
tra i rogiti notarili di metà settecento, leggere con ispirazione e fantasia
tra le righe di quel testamento rogata in canonica a Cairo M. notte  dal notaio
Carlo Sanguinetti… Erano quelle poche pagine scritte per don Carlo Lorenzo
Lubati nel 1742…

In quelle pagine ingiallite si può infatti agevolmente leggere la scrittura
marroncina del notaio cairese che inizia assicurandoci sulla salute spirituale
del sacerdote:

“Ha raccomandato e raccomanda l’anima sua alla SS Trinità alla S. ma Vergine
et a tutti i santi del cielo che intercederanno presso il Signore per la
remissione delle sue colpe (…) vuole sia sepolto avanti l’altare maggiore di
questa chiesa parrocchiale nel sito istesso dove era stato sepolto il fu
arciprete Lubati di lui zio et antecessore (…)”

Bruno Chiarlone Debenedetti


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