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Il thriller di Stefano De Marino:”Mosaico a tessere di sangue”

Creato il 08 luglio 2014 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

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Scrive  Stefano Di Marino nella sua nota d’autore: “c’era una volta… il cinema thrilling italiano, che poi era una definizione tutta nostra,  con un errore pure, perché avremmo dovuto dire “thriller italiano”. Ma andava bene cosi, perché era espressione del nostro modo di fare il Giallo mescolandolo con l’ horror ed il gotico e tante altre cose di casa nostra che hanno fatto scuola nel mondo. Oggi si parla di Italian Giallo ed è una tendenza riconosciuta in tutto il mondo (anche se un pò, come sempre, snobbata in casa) di cui andare fieri. E’ mia opinione che i giallisti italiani di oggi trovino più le loro radici in questo cinema che nella letteratura di genere italiana o anglosassone. Di certo nella mia produzione quel genere di atmosfere di suspense sono rimaste indelebili. Quando ho visto il Lido di Latina ho subito pensato ad una cornice perfetta per un thrilling, moderno, certo, e anche con varianti che nascono da altre mie suggestioni, ma che sarebbe impossibile slegare da quei contesti. Spero che vi divertiate a leggerlo quanto io mi sono divertito a scriverlo”.

Infatti la lettura, si sa, in definitiva è sempre piacere e ritmo. Proprio come in un bel film. E qui, in Mosaico a tessere di sangue, nuova opera noir di Stefano Di Marino, edita dalla Cordero Editore, queste condizioni succedono tutte, proprio si incastrano con maestria. E’ una bella situazione quella di scrivere i libri esattamente come si potrebbero vedere accomodati alle poltrone di un cinema, anche il linguaggio, in questo mosaico, è assolutamente ritmico,  proprio come fosse un linguaggio costruito a ridosso immediato delle immagini. Un capolavoro. Il valore artistico del racconto poi, e questo ne contempla proprio il risultato, sembra prescindere da tutto questo, non lo sottolinea, ma al contempo ne esalta la necessaria comprensione. Perché  Mosaico a tessere di sangue resta sempre un racconto decisamente narrato, benissimo, ma è assolutamente narrato, e tale rimane fino in fondo, ricco anche della sua brillante retorica.  Siamo proprio felici, oggi, di consigliare un libro così.

Dalla quarta di copertina leggiamo, in forte sintesi, quella che è la trama: “fine estate, litorale pontino. Un poliziotto, ferito nel corpo e nello spirito, una serial killer in fuga, “una strana coppia femminile”, un attempato playboy, una famiglia felice. Tutti in un albergo, l’unico ancora aperto in un panorama incantato ed inquietante. Poi, improvvisa, esplode una violenza folle, devastante, dalla quale non si può fuggire. Ma non è un caso se sono tutti lì e, come in un mosaico, prende forma un piano di vendetta lucido e tagliente come una lama di rasoio. Ed il poliziotto è costretto ad usare il cervello, la sola arma che ha, per risolvere il mistero e salvare la pelle”. Ad un certo punto della storia narrata quella che rimane netta, per noi, è la frase, quella frase che noi percepiamo come la quintessenza: “la vita si ferma per lasciare spazio alla morte”.

Ecco, la contrapposizione, sempre e comunque, della vita contro la morte è già qualcosa di indiscutibilmente geniale, e qui proprio nella sua assoluta e lugubre realtà di frase. Una frase vissuta proprio come nel genio di  Alfred Hitchcok ed in quello del miglior Dario Argento ed anche, in certe atmosfere tipiche, di Stanley Kubrik e del suo Shining, soprattutto nella parte che si svolge in albergo, il luogo stanziale che il protagonista di De Marino così descrive prima di partire: “al limitare del parco del Circeo, dove c’è ancora il sole estivo ma la gente è poca. Quello che ci vuole per ritemprarmi un po’. Nuoto, sole e buona musica”. Quello che dopo rimane sensazionale, in effetti, è anche la descrizione millimetrica di tali contrapposizioni, “sole e poca gente, nuoto e buona musica”, condizioni che hanno a che fare in fondo con la dicotomia di “vita e morte”.

E della sociologia che queste componenti comportano. I buoni e i cattivi sono certamente fondamentali in ogni storia. Si può immaginare Abele  senza  Caino, Peter Pan senza Capitan Uncino, Batman senza Jocker, ancora Romolo senza Remo? No, appunto. Ed il male lascia tracce davvero sensibilissime, il bene invece non è poi così, letterariamente o visivamente, interessante. Poi nessuno è davvero cosi buono fino in fondo, tutti facilmente possiamo nutrirci di un profondissimo lato oscuro. Un altra eccelsa cura, e nemmeno indifferente al contesto, abbiamo riscontrato nella trama di Stefano Di Marino, quella cioè di continuare sulla scia dell’innovazione storica data in questi ultimi anni alla letteratura gialla. Anche Stefano Di Marino in questo suo Mosaico a tessere di sangue porta all’interno del genere la realtà più assoluta.  Non c’è traccia di quella standardizzazione che confinava sempre con il lieto fine, oppure quella tendenza a tipicizzare sempre l’eroe, un tipo di protagonista che tra mille peripezie arriva alla fine a sbrogliare sempre la matassa dell’intrigo. In questo Mosaico a tessere di sangue c’è tutto quello che serve davvero al lettore appassionato, insomma l’ansia di sciogliere il mistero cresce immensamente pagina dopo pagina. Mentre passato e presente si intrecciano pericolosamente e si congiungono, all’apparenza, in un hotel di Latina, il misterioso lido pontino che insiste, quasi in soggezione permanente, di fronte alla sagoma della perfida Circe, materializzata come narra la leggenda sotto la forma di un monte. Da questo momento, in definitiva, il protagonista sembra costretto suo malgrado a ripercorrere gli inizi, violenti, della sua carriera. E fino a che punto è una carriera davvero generosa? Insomma pensiamo di essere nei paraggi visionari e terrificanti del cinema di Dario Argento, anche in quelli letterari e fantastici di George Simenon, soprattutto quando Stefano Di Marino tende a coinvolgere il contesto sociale e gli ambienti dove, tutto sommato, lo stesso scrittore ha vissuto. Di Marino arriva a raccontare il brivido più efferato senza pulsioni sovrannaturali, proprio come Alfred Hitchcok ha sempre insegnato, anche nella rappresentazione della violenza più scomoda. Ci teniamo a dirlo: Mosaico a tessere di sangue  è un titolo che mai ci sogneremmo di buttare nel cestino una volta esaurita la sua funzione sul comodino.

Giovanni Berardi


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