“Ci sarà pure/ un paradiso per le notti d’estate/ i sogni densi e spinosi di caldo/ gli amori improvvisi/ fiori fuori campo/ negli interstizi di asfalti sudati” (Briciole in tasca).
Prende in prestito un termine dall’astronomia l’ultima raccolta poetica di Angela Caccia, nata nel 1958 in provincia di Crotone e autrice multipremiata. “Il tocco abarico del dubbio” (Fara Editore, 2015) dove per “abarico” s’intende il punto in cui cessa l’effetto della gravitazione terrestre e inizia quello prodotto dalla Luna. In questo esatto frangente, secondo la poetessa, sta il dubbio, il quale non ha il compito di stabilire ciò che è giusto o sbagliato, bensì di avviare un processo che porta alla conoscenza.
L’autrice avverte tutta la responsabilità di mettere fra le mani del lettore una silloge poetica, quasi a creare un ponte – come afferma nella prefazione Anna Maria Bonfiglio – fra la vita interiore e la realtà. Quando come Angela Caccia si ha una visione completa dell’esistenza, non vi è mai una realtà assoluta, bensì tante interpretazioni che alla fine mettono in scena un quadro generale.
La raccolta poetica, nello specifico, si articola in 5 sezioni, ciascuna delle quali è preceduta da un breve brano in prosa. Possiamo affermare che non vi sia un fil rouge – una vera e propria linea guida -, ma che la poetessa lasci fluire la parola, che arriva a comporsi da sé. Come per esempio partendo dal rapporto madre-figlia, fino all’ultimo tragitto dove ci si abbandona ad una Bontà Superiore, a giustificare il cammino.
La morte è un argomento soventemente trattato, ma considerato non come meta ultima e cessazione del dolore di vivere, bensì come cambiamento per l’uomo e la natura.
“Inizio Quaresima/ piove fitta la tua assenza/ si confonde all’acqua/ questo pianto senza posa/ chi ti ama/ – e tanto hai amato -/ ti guarda così sparsa/ immersa/ come assopita/ aspetta nel fremito/ dell’occhio o della mano/ che la morte si penta/ di averti invaso” (Tra le mani).
La poesia non viene vista come meta d’arrivo, bensì come predestinazione e salvezza. In quest’opera, che Angela Caccia dedica ai suoi figli, l’arte di comporre versi è percepita come fatica, come conquista: un “reclamare” un proprio spazio.
L’io, ovvero un “ammasso di venti senza scampo”, si confronta continuamente con immagini tratte dalla natura, dal ricordo; oppure da uomini illustri che hanno segnato il cammino e qui vengono omaggiati. Sono parole che rifioriscono e, attraverso la penna, ritornano reali, dove la speranza non muore e spesso si fa ricorso all’immagine delle “stelle”. Una solitudine che trova nella forma scritta il modo migliore per esprimersi e venire alla luce. Nascere e morire come un unico misterioso pianto, principale dicotomia dell’essere umano. Così come quell’immagine di dare la vita, seguita dal fatto che il figlio dovrà “uccidere” il genitore, al fine di differenziarsi e affermare il suo spazio nel mondo.
Forse fare poesia è proprio questo: gettare le basi, dare una traccia sulla quale poi il lettore può costruirsi le proprie personali illusioni. Al di là del vero messaggio dell’autrice, dobbiamo chiederci che cosa realmente sia emerso, dalla lettura di queste liriche. Senza dubbio una poetessa talentuosa, che non sceglie mai a caso le sue parole, e crea testi evocativi pregni di neologismi. Un’autrice, in sostanza, in grado di creare suggestioni.
“Resisti Nina/ resisti da sola/ così curva/ in questa pozza di dolore/ ci fosse un dio dei cani…/ Non ho parole sacre/ per i tuoi occhi/ stelle senza capanna/ sullo stesso meridiano dell’umano:/ privilegio di chi vive/ è la morte!/ Laghi castani/ appannati da un fondale/ che la sabbia sconvolge/ atolli/ dove il mio amarti/ ha perso le chiavi” (Per i tuoi occhi).
Written by Cristina Biolcati