Il tollerante illuminismo e il genocidio vandeano

Creato il 14 maggio 2013 da Uccronline

Ciascuna nazione pare avere un argomento storico riguardante il proprio passato del quale è più o meno tacitamente scomodo parlare. Se in Italia hanno causato un acceso dibattito i libri che trattavano dei crimini compiuti nel dopoguerra da alcuni partigiani, in Francia invece l’argomento tabù sembra essere la Vandea.

Fino a pochi anni fa, la Vandea era vista in maniera profondamente negativa come sinonimo di cattolico reazionario, di servo dei nobili e nemico della rivoluzione, ma la cosiddetta “scuola revisionista” ha permesso di squarciare quel velo di silenzio che la storiografia ufficiale ha lungo tramandato sui sacrifici subiti da quel popolo.

La loro storia è ormai nota: nel marzo 1793 la regione dell’ovest si sollevò quasi simultaneamente e i ribelli riuscirono ad occupare gran parte del territorio grazie anche alla pessima organizzazione delle truppe rivoluzionarie. I contadini che si ribellarono al governo di Parigi non erano certamente fautori dell’ancien regime e la loro ostilità verso la repubblica nacque a causa del malcontento provocato dall’aggravarsi della pressione fiscale, dall’ostilità verso la borghesia cittadina (unica beneficiaria delle terre nazionalizzate), dalla persecuzione del clero refrattario considerata particolarmente odiosa da una popolazione profondamente religiosa e dalla coscrizione obbligatoria di 300.000 uomini. Una particolarità di questa insurrezione è che essa non venne programmata dai nobili, che anzi ne furono presi alla sprovvista e la giudicarono persino prematura, ma fu marcatamente popolare. In un secondo momento alcuni nobili si metteranno a capo delle bande degli insorti, ma altri capi rimasero d’estrazione “plebea” come il guardiacaccia Stofflet o il venditore ambulante Chatelineu.

In una prima fase la guerra andò a vantaggio dei vandeani che costituirono un’enorme minaccia per i repubblicani anche perché erano riforniti dagli emigrati e dagli inglesi, tuttavia a svantaggio degli insorti andarono le divisioni interne (alcuni volevano marciare sulla Bretagna, mentre altri su Parigi) e la difficoltà di costruire un esercito permanente ( i contadini si riunivano per combattere gli “azzurri”, ma si disperdevano dopo la fine della battaglia), così la guerra nei mesi seguenti si stabilizzò fino alla vittoria dei rivoluzionari nel novembre 1793. Vi erano ancora delle bande che scorrazzavano nella regione, ma come dissero già all’epoca alcuni deputati, la guerra di Vandea era “politicamente finita”. I rivoluzionari però non erano intenzionati ad attuare una politica di pacificazione, ma al contrario volevano trasformare la Vandea, secondo le parole di Robespierre, in un “cimitero nazionale”.

Secondo lo storico Reynald Secher, il piano di sterminio si articolò in tre fasi: nella legge del 1 agosto quando la Convenzione decretò di fare terra bruciata del territorio vandeano ; il 1 ottobre quando si decise l’eliminazione fisica degli abitanti del territorio insorti, in particolare di donne in quanto “solchi riproduttori” e di bambini perché “futuri briganti” e infine la legge del 7 novembre che toglieva il nome alla Vandea con quello di “Dipartimento Vendicato”. A causa di questi provvedimenti nei mesi successivi perirono all’incirca 117.000 persone su una popolazione di circa 800.000 abitanti e furono distrutti circa diecimila casolari su cinquantamila (Dal genocidio vandeano al memoricidio).

Le uccisioni avvennero in maniera brutale con tutti i modi: ad Anger si ricorsero alle fucilazioni sommarie, a Nantes invece agli annegamenti notturni, mentre in altre zone si fecero dei falò nella quale si buttarono le persone ancora vive. Questi massacri avvennero in maniera indiscriminata praticamente in tutte le regioni che avevano osato insorgere: il famoso scrittore Aleksandr Solzenicyn ha ricordato il massacro avvenuto a Luc-sur-Boulogne una piccola località dove il generale Cordelier fece uccidere in soli 4 giorni 564 abitanti tra cui 110 bambini al di sotto dei sette anni. Nonostante ciò la Vandea non venne domata e anzi i massacri indiscriminati operati dalle “colonne infernali” del maresciallo Turreau avevano ingrossato le fila dei ribelli (più di venticinquemila contadini si erano uniti alle bande degli insorti in seguito alle devastazioni operate), così il Comitato di Salute Pubblica in seguito all’avvento dei termidoriani decise di ricorrere alla politica di pacificazione nella quale promettevano ai ribelli di rispettare i loro beni e la loro fede.

Questo provvedimento consentirà anche la riapertura delle chiese in tutta la Francia e la libertà di culto per i preti refrattari e costituzionali seppur soggette a molte discriminazioni (le chiese rimanevano proprietà dei comuni che potevano utilizzare per le cerimonie decanenarie o per le adunanze elettorali, vi era il divieto di esporre simboli religiosi per strada come quello di fare processioni, indossare l’abito talare, chiamare i fedeli con il suo suono delle campane, ecc.). Come affermò anche uno storico filorivoluzionario come Albert Mathiez: «[I cattolici] non ottenevano una vera libertà; la tolleranza veniva gettata loro come un’elemosina». La pace però durerà pochi mesi e la Vandea continuò ad essere per la Rivoluzione una vera e propria spina nel fianco (delle armate terranno impegnato Napoleone durante la battaglia di Waterloo).

La Vandea è stata oggetto di molte dispute in parecchi campi, ivi compreso quello della Chiesa: mentre Padre Giuseppe della Rosa afferma che non bisogna fare della Vandea “il simbolo dell’intero cristianesimo”, l’arcivescovo di Bologna, Giacomo Biffi vede invece nelle stragi operate in quel secolo “la premessa e le stragi che hanno insanguinato il XX secolo”. Lo stesso Giovanni Paolo II beatificò 164 martiri vandeani, ma trascurò il senso politico dell’insurrezione e condannò i massacri di cui i vandeani furono responsabili.

Per gli storici invece la disputa riguarda il termine di genocidio: mentre alcuni come Reynald Secher o Pierre Channu non esitano ad attribuire questo termine ai massacri che sono stati operati in Vandea; altri invece come Alain Gerard o Jean-Clément Martin lo rifiutano sottolineando il fatto che i vandeani non furono uccisi in quanto tali, ma perché i rivoluzionari non potevano tollerare che qualcuno si potesse ribellare al loro governo. (Giulio Meotti, Il massacro dei lumi). Nessuno però nega che quello subito in Vandea fu un massacro di proporzioni immani che sta a dimostrare come anche nel nome della libertà si possono commettere i crimini più atroci.

Mattia Ferrari


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