di Umberto Scopa. Raccolgo qui di seguito una serie di considerazioni che possono interessare bibliofili, bibliotecari e anche i lettori appassionati delle nuove tecnologie che il mercato propone di affiancare ai libri tradizionali e talora di sostituire ad essi.
Le biblioteche oggi sono vissute come luoghi dove siamo obbligati a spegnere o mettere silenziosi i cellulari, oltre che tenere una moltitudine di comportamenti restrittivi delle nostre normali abitudini. Appaiono insomma come luoghi nei quali si impone una disciplina antica refrattaria alla modernità.
A mio parere un capovolgimento di prospettiva, se non sono troppo ottimista, prima o poi arriverà. La modernità sta proponendo strumenti tecnologici potenziatori della nostra libertà che non tarderemo però, se non rimbecilliamo prima, a sentire come restrittivi della nostra libertà sotto molti altri aspetti che oggi trascuriamo. Li sentiremo opprimenti molto più delle restrizioni che ci impone una sala di lettura, la quale chiede solo di non rinunciare alla sua identità di sala di lettura.
In altri termini la sala di lettura verrà vista non come un luogo nel quale siamo obbligati a spegnere un cellulare, ma un luogo dove siamo finalmente autorizzati a farlo. Forse è troppo presto per adottare questa prospettiva, ma succederà comunque. Un cambiamento di prospettiva non da poco che presuppone la consapevolezza di quanto queste nuove tecnologia ci schiavizzano pur con l’indubbia utilità che sanno offrire. Potremo spegnere il cellulare senza doverci giustificare con scuse improbabili tipo si è scaricato ecc.. Basterà dire ero in biblioteca, e magari andarci davvero per scoprire che è possibile ritagliarsi nella giornata momenti alternativi di libertà. Momenti di respiro e non di apnea subacquea dall’interconnessione permanente. Il bibliotecario deve saper credere in questa evoluzione, oppure cambiare mestiere.
A dire il vero il bibliotecario deve essere attento alle nuove tecnologie, non deve snobbarle, minimizzarle o disprezzarle, ma deve metterle al centro di un’attenta riflessione. Un pò anche per quella sana curiosità che non deve mai dismettere, un pò perché se non lo fa viene imbalsamato dai contemporanei e tale rimarrà finchè un novello Champollion non arriverà a disseppellirlo in un lontano futuro. Ciò premesso la sua famiglia, che è la biblioteca, si è arricchita di creature molto eterogenee: oltre ai libri tradizionali, ci sono, cd, dvd, chiavette, file, internet. Sono tanti figli. Sono anche un po’ litigiosi. Ognuno pretende di vantare verso gli altri una sua superiorità e chi li custodisce, come un padre premuroso, non può rimanere indifferente. Non può trascurare neanche il fatto che il libro cartaceo è un soggetto debole, sempre più emarginato, mentre i fratelli digitali oggi sono potenti e sempre al centro dell’attenzione. Dominano la scena, tutti li vogliono. I libri per contro non li vuole quasi nessuno. Non si vendono più librerie nei negozi di mobili, gli “svuota cantine” regalano i libri, le biblioteche sono disertate dai lettori, la metà degli italiani non legge un libro all’anno, senza contare quelli che nell’altra metà hanno letto solo le barzellette di Totti, o le ricette di suor Germana. Il libro di carta stampata non scarica aggiornamenti, i tempi che cambiano lo lasciano indifferente e questa rigidità è vista con sempre maggiore diffidenza dalle nuove generazioni. Il libro di carta è un soggetto debole e il bibliotecario deve proteggerlo con un’attenzione speciale e anche maggiore in ragione della sua attuale emarginazione e vulnerabilità. Come si farebbe per una specie in via di estinzione.
Tra le ragioni dell’emarginazione del libro c’è anche la fatica di usarlo. L’abbandono della fatica è uno dei regali più seduttivi offerti delle nuove tecnologie. Anche il topo di biblioteca, come Ulisse, oggi deve farsi legare alla sedia di fronte alle sudate carte per non cedere alle sirene del Web e alle sue seduzioni. La seduzione dell’informazione “take away”, senza fatica e subito, è anche una delle più subdole perché è difficilmente reversibile. Dall’operosità alla pigrizia si passa facilmente, tornare indietro è più difficile. La ricerca di informazioni in passato era più difficoltosa e i risultati ottenibili erano quantitativamente molto inferiori. Oggi uno schermo in un attimo ci rovescia addosso miriadi di informazioni rispondendo ad una semplice richiesta. Niente schedari polverosi da consultare, attese, scale, perlustrazioni di scaffali, e letture di cose “inutili”, o da noi ritenute tali, prima di trovare quelle utili che stiamo cercando. Il percorso faticoso che abbiamo amputato come un ramo morto con grande soddisfazione, dovrebbe essere visto per sotto un’altra prospettiva e cioè come un ramo molto vivo e prolifico, che porta linfa vitale alle nostre conoscenze, anche se non sono quelle che in quel preciso istante ci servono. Ci restituiranno un’utilità non misurabile in futuro. E la fatica della raccolta non è ininfluente sul processo di sedimentazione delle conoscenze. Oggi si dimentica l’informazione con la stessa facilità con cui la si reperisce. La sua immediata disponibilità ci persuade in modo subdolo dell’inutilità di possederla dentro di noi in modo permanente. Tanto –si pensa- tutte non ci starebbero nella nostra testa e ognuna comunque è reperibile all’istante con un clic. Così stiamo dismettendo la nostra memoria. Anche il nostro modo di pensare diventa conseguentemente più vulnerabile e manipolabile, mentre la pluralità di fonti, superiore rispetto al passato, può far sembrare il contrario.
La pluralità di fonti genera incertezza e sconcerto e l’indipendenza di pensiero passa necessariamente per uno sforzo critico autoimposto, che costa fatica più che non adottare una soluzione preconfezionata, meglio se maggioritaria. Nessuno discute la libertà potenziale insita nel pluralismo delle fonti, ma oggi il web funziona verso la stragrande maggioranza degli utenti seducendoli alla facilità di trovare una risposta alle proprie domande, disabituandoli al ricercarle da soli. Il percorso mentale con cui formavamo le nostre convinzioni in passato era certamente faticoso e più lungo di qualche ditata su una tastiera, ma contrassegnava la nostra identità di pensiero più delle idee che alla fine del percorso avevamo acquisito. Il web ci offre uno scaffale di idee e informazioni già pronte con una scelta infinita. Abbiamo più scelta che in passato, ma quello che scegliamo ha un’appartenenza a noi molto più debole che in passato.
Va detto che la pluralità delle fonti offerte dal Web è una benedizione a garanzia della libertà. Laddove viene imposto il famigerato pensiero unico il Web viene oscurato. E’ una conquista di libertà che non si deve cancellare. Ma si deve arricchire con la consapevolezza di difendersi dalle sue seduzioni di facilità che subdolamente possono ricondurci in una diversa condizione di sudditanza anestetizzata.
La lettura di un libro comporta di solito un grosso vantaggio per il nostro benessere spirituale. Ci permette di uscire da noi stessi. Una vacanza da noi stessi ogni tanto è necessaria più di quella dal lavoro. Permette anche di abbandonare il proprio ego per un breve, ma salutare lasso di tempo. I peggiori crimini contro l’umanità vengono da ego ipertrofici. L’immedesimazione nella figura dei protagonisti, o in quella più astratta di una voce occulta che racconta, ci fa dimenticare di noi. Così come un attore dimentica se stesso quando interpreta una parte.
E’ pur vero che il nostro destino di esseri umani ci lega con vincolo indissolubile al nostro ego finché morte non ci separi, ma in questo campo avere delle scappatelle è indispensabile. Non averle è invece patologico. L’ipertrofia del proprio ego, generata da un attaccamento passionale troppo asfissiante a se stesso, è fonte di aberranti deformità della personalità.
La lettura di un libro naturalmente è possibile anche su smartphone, tablet e simili, ma questi sistemi sono concepiti principalmente per tenerci connessi ad una sterminata comunità di sconosciuti, e a ben vedere sono l’ultimo ritrovato del nostro ego geloso che ci richiama a se. E’ improbo concentrarsi nella lettura di Guerra e pace con un Tablet perché lo si usa in luoghi non dedicati alla lettura (in autobus, su parapendio, in bicicletta, in treno, in auto), per giunta ci interrompe di continuo per informarci che uno dei nostri 3500 amici di facebook ha aggiornato il suo profilo con un selfie dove è ritratto in posa col suo cappuccino e ci invita a non essere da meno mostrando il nostro cappuccino in tempo reale. L’interconnessione permanente ci espone a una domanda di visibilità nella quale ci preoccupiamo del giudizio espresso su di noi in grammi o quintali di “like”. Con gli smartphone in mano siamo sempre noi i protagonisti, del resto è sempre più uno strumento per proporre se stessi agli altri che per ascoltare gli altri. Sottrarsi al pensiero altrui proprio con lo strumento che più di ogni altro ci favorirebbe il confronto con esso può sembrare un paradosso. Ma a me pare che sia questo oggi l’uso prevalente di questa tecnologia, il che non vuol dire che non si possa farne, come anche accade naturalmente, un suo diverso.