Il “Total Tax Rate” e la religione liberista

Creato il 06 agosto 2013 da Keynesblog @keynesblog

Capita spesso di sentire dire che in Italia la tassazione sulle imprese sia eccessiva, anzi opprimente, e che ciò sia uno dei fattori che rendono poco competitivo il nostro paese, in particolare nell’attrarre gli investimenti esteri. Pochi si chiedono però se sia davvero un bene attrarre tutti questi investimenti. Forse uno sguardo a quanto accaduto all’Irlanda dovrebbe indurre a più miti consigli.

Una statistica molto citata a proposito della tassazione sulle imprese è il total tax rate” calcolato dalla Banca Mondiale. Secondo questa classifica, l’Italia sarebbe il quindicesimo paese al mondo per imposizione sulle imprese, con il 68,3%.

E qui iniziano i problemi. Secondo la statistica infatti ben 4 paesi hanno una tassazione superiore al 100% (Congo, Zambia, Comores e Argentina). L’Argentina, che prima del 2008 ha conosciuto un’impetuosa crescita economica, tasserebbe i profitti al 108%. Evidentemente nessuna impresa potrebbe sopravvivere ad una imposizione simile.

Scorrendo ancora i dati si scopre che in Brasile le imprese pagherebbero più tasse che in Italia (69,3%) ma pare che questo non spaventi così tanto gli imprenditori, neanche quelli stranieri. Anche la Cina si difende bene con il suo 63,7%. La Colombia, notoriamente considerata un’isola liberista in un subcontinente socialista, tasserebbe le imprese al 74,4%. Non male.

Ma il ridicolo arriva quando troviamo, tra i paesi nemici del profitto, le Isole Marshall, che con il loro 64,9% si collocano ai primi posti tra i campioni del socialismo reale del XXI secolo. Solo che basta una scorsa a Wikipedia per scoprire che le Isole sono in realtà un “paradiso fiscale”:

Per la bassa imposizione fiscale attuata ed, in particolare, per l’assenza di norme e misure restrittive di controllo sul versante delle transazioni finanziarie, le Isole Marshall sono annoverate tra i cosiddetti “paradisi fiscali”. Infatti (unitamente alle Filippine, Isole Cook, Liberia, Belize, Montserrat, Nauru, Niue, Panama, Vanatu, Brunei, Costa Rica, Guatemala e Uruguay) sono le 14 giurisdizioni che, in base all’ultimo Rapporto del giugno 2010 dell’Organizzazione con sede a Parigi, ancora figurano nella cosiddetta lista grigia dell’Ocse sotto la voce tax haven e centri finanziari. Anche il sistema fiscale italiano, col Decreto Ministeriale 04/05/1999, l’ha inserita tra gli Stati o Territori aventi un regime fiscale privilegiato, cosiddetta Black List o lista nera, ponendo quindi limitazioni fiscali ai rapporti economico-commerciali che si intrattengono tra le aziende italiane ed i soggetti ubicati in tale territorio.

Perché accade che una statistica tanto inverosimile – probabilmente a causa delle normative estremamente eterogenee – venga presa per buona e sventagliata ovunque, ad esempio In un recente editoriale del Sole24ore, in un recente articolo di Repubblica, o in un articolo di un autore di Noise from Amerika?

La risposta è che la gente prende per buono ciò che conferma le proprie opinioni, un po’ come coloro che considerano una prova dell’esistenza di Dio l’apparizione del volto di Cristo su una fetta di pane tostato.

E’ vero, le tasse su chi produce in Italia sono eccessive. Lo sono anche sul lavoro, non solo sull’impresa. Ma il problema non è solamente la percentuale di tasse che i contribuenti pagano, ma quanto lo stato spende a fronte del gettito fiscale ricevuto. E come abbiamo sottolineato molte volte, un paese che da 20 anni toglie all’economia reale per dare alla rendita non farà mai nessun passo in avanti, quand’anche riuscisse a ridurre l’imposizione sulle imprese. Ironicamente, il total tax rate calcolato dalla Banca Mondiale per l’Italia è sceso dal 77,5% del 2005 al 68,3% del 2012. Qualcuno ha visto più crescita da allora?


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