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Il traffico e lo spaccio di sostanze stupefacenti, è lavoro?

Creato il 04 aprile 2013 da Propostalavoro @propostalavoro

 

 Il traffico e lo spaccio di sostanze stupefacenti, è lavoro?
Se è vero, come è vero, che lavoro significa attività umana finalizzata a produrre un bene o un servizio allora, il traffico e lo spaccio di sostanze stupefacenti, a pieno titolo, va annoverata nell’elenco delle attività lavorative. Solo nel nostro paese i consumatori di droghe superano oltre i tremilioni di anime; la spesa globale sostenuta da detta popolazione, per ottenere questo particolare bene di consumo, si aggira intorno ai dodici miliardi di euro l’anno.

 Una delle poche imprese, questa, che può vantare l’assenza di crisi o calo dei consumi. Il numero degli operatori impegnati nel settore, che va dalle alte sfere dirigenziali fino alla bassa manovalanza, è praticamente incalcolabile, sia perché il loro lavoro non è regolato da un contratto tipico, sia perché è previsto l’arruolamento anche di soggetti minori, sia anche, perché una grande maggioranza di quelli che operano in questo settore svolge ufficialmente un’altra attività. Il mercato della morte, alla barba dei morituri, va a gonfie vele e si prevedono scatti di incremento di consumi a brevissimo termine.

A parte l’inevitabile contingente di morte e la misera qualità di vita in cui versa il fedelissimo consumatore, il colosso economico, che a volte assume dimensione di multinazionale, è l’unico che può  vantarsi di collaboratori indefessi pronti a rischiare tutto ed a pagare anche con la vita se necessario, pur di assolvere ai propri incarichi. Sappiamo tutti che il mondo del lavoro è regolato dalla legge della domanda e dell’offerta; il successo e l’affermazione di qualunque prodotto è dovuto alla domanda che lo stesso è capace di generare sul mercato. Ma chi sono i consumatori? E perché questo prodotto, peraltro veicolo di morte, riceve si tanto consenso ad oltranza? Pensando al drogato ed al tossicodipendente può venire in mente l’immagine del soggetto sballato e mal concio che dorme sulla panchina, ma non è solo così; si annoverano nell’esercito di consumatori, del veicolo di morte, nomi illustri: artisti, politici, sportivi, rampolli della società bene, studenti brillanti, uomini e donne di ogni ceto ed estrazione sociale, professionisti, giovanissimi, impiegati, commercianti, disadattati, nulla facenti.

Tutti con una caratteristica comune: la fedeltà al consumo e l’impegno illimitato al procacciamento della dose. Riflettiamo allora sul perché di tanto successo e tanto accanimento al consumo progressivo. E’ ormai noto il concetto di dipendenza. La sostanza stupefacente modifica la chimica del cervello e produce dipendenza psicofisica. Una volta che  la materia grigia si è abituata/condizionata a funzionare con l’ausilio della sostanza si crea il bisogno/vizio e la tendenza ad aumentare progressivamente la quantità assunta.

Da un punto di vista economico/imprenditoriale il colosso economico“veicolatore di morte” risulta essere un’impresa in continua espansione: i profitti sono alti per tutti, gli arruolamenti sono perennemente aperti, gli investimenti e i capitali sono da capogiro; da un punto di vista sociale, etico e morale, invece, verrebbe da chiedersi se per caso non si corre il rischio, vista la presenza capillare degli operatori/promotori e consumatori in ogni ambito sociale, di trasformarci in un popolo di tossici cinici, viziosi e dedici allo sballo.

 Il presente ed il futuro del mondo del lavoro deve fare i conti anche con questa irrompente realtà. L’interrogativo comunque rimane: il traffico e lo spaccio di sostanze stupefacenti è da considerarsi attività lavorativa?

Dott.ssa Elisabetta Vellone


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