L’Unione europea si è dimostrata in più occasioni un coacervo di leggi, regole e direttive spesso eluse. Per non parlare delle invidie e degli egoismi emersi soprattutto nei periodi di crisi. Tuttavia non credo che un nuovo trattato possa essere la soluzione ai mali dell’Europa. C’è il Trattato di Lisbona adesso, ed è più che sufficiente. Quest’ultimo ha istituito nuove figure chiave tanto nell’ambito della politica comunitaria quanto della politica estera e ha, inoltre, rafforzato l’autorità del Parlamento. Promuovere un nuovo trattato, invece, significherebbe ricreare le condizioni di divergenze che hanno rischiato di far saltare quello vigente (basti pensare alla vittoria in un primo momento del ‘no’ al referendum irlandese e ai tentennamenti della Repubblica ceca) seguenti gli esiti negativi delle consultazioni in Francia e Olanda della precedente Costituzione.
Temo, quindi, che nei Paesi dove il nuovo trattato verrebbe sottoposto a referendum possa verificarsi un’ulteriore battuta d’arresto nei confronti dell’Europa unita. Soprattutto nell’attuale periodo di crisi economia che ha visto alcuni Stati – Grecia, Irlanda e Portogallo – costretti a chiedere aiuti finanziari. L’Ue sarà ancora a lungo divisa in euroentusiasti ed euroscettici (del secondo caso i Veri Finlandesi sono l’ultimo esempio noto), ma ritengo che il problema sia di tipo culturale ancor prima che politico.