Quando, nel 1896, i fratelli Lumiére proiettarono il loro breve cortometraggio L’arrivo di un treno alla stazione di La Ciotat, in meno di un minuto di pellicola disvelarono tutte le possibilità di sviluppo del mezzo filmico. L’impressione di realtà fu tale che gli spettatori si abbandonarono a manifestazioni di panico e di meraviglia. La concatenazione delle azioni e la tacita e lapidaria narrazione degli occasionali personaggi fecero intuire le enormi possibilità della sceneggiatura. L’angolazione dell’inquadratura forniva una prospettiva profonda e soggettiva al filmato. In più, il mostro d’acciaio, il treno; un film nel film, nel suo eterno flusso, nei suoi finestrini che paiono fotogrammi cristallizzati, nel suo intreccio continuo di storie, di vite vissute. Il treno, una matrice per il cinema, ma in grado di offrire anche un punto di vista opposto: la stasi nel movimento al posto del movimento nella stasi. Insomma, il cinema, nel momento stesso del suo battesimo, aveva trovato il suo alter-ego o, come avrebbe potuto dire Artaud, il suo doppio.
Da quel momento, il cinema iniziò a sviluppare un rapporto ossessivo col treno, fatto di innumerevoli titoli, dei quali, per ragioni di tempo e di competenza, evito di farne una cernita accurata, per quanto sintetica. La locomotiva, col suo traino di vagoni, divenne veicolo di salvezza e di morte; ambasciatore della civiltà e cavaliere dell’apocalisse; luogo di delitto e di incontri destinati a cambiare la vita; simbolo della volontà di potenza e capro espiatorio da sacrificare attraverso una deflagrazione catartica. Ma, soprattutto, divenne luogo deputato alla sospensione, alla metanarrazione, al rispecchiamento, alla coincidentia oppositorum; in breve, a far esplodere il film nella galassia di rimandi di cui era ed è potenzialmente portatore.
Questo complesso rapporto, al contempo osmotico e conflittuale, era stato anticipato in due romanzi scritti alcuni anni prima delle prime dimostrazioni dei Fratelli Lumiere. Si tratta di due opere che rappresentano gli esiti più maturi delle due principali tradizioni nazionali del romanzo ottocentesco, la russa e la francese. La prima è il romanzo breve di Tolstoj Sonata a Kreutzer del 1889, nel quale il treno si fa veicolo di confessione e remissione della colpa, anticipando il rispecchiamento della coscienza tipico del cinema. L’altra opera è il corposo romanzo La bestia umana di Zola del 1890, nel quale il treno diviene crocevia e strumento di passioni, tradimenti, delitti, vendette e abusi. Forse per il loro essere già film di per sè, queste due opere letterarie non hanno suscitato l’interesse di grandi cineasti. La bestia umana, per la verità, venne trasposta nel 1938 da Jean Renoir nel suo L’angelo del male, a sua volta fonte d’ispirazione per Human desire di Fritz Lang del 1954; la Sonata a Kreutzer ha avuto diversi tentativi di trasposizione, nessuno dei quali memorabile.