IL TRENO VA A MOSCA (Italia-Uk 2013) è stato presentato al XXXI Torino Film Festival, nella sezione Torino 31.
L’ideologia comunista, la vita contadina, le vecchie telecamere amatoriali dalle immagini sgranate e sfocate, il viaggio come scoperta di universi nuovi e sorprendenti: Il treno va a Mosca, documentario diretto da Federico Ferrone e Michele Manzolini, è la trasposizione su pellicola di un mondo – pre-tecnologico e pre-postideologico – che non esiste più. Testimone di questo passato ormai remoto è l’ottantenne romagnolo Sauro, che nel 1957, insieme ad alcuni compagni, partì alla volta di Mosca per il Festival mondiale della gioventù.
Un po’ di nostalgia, in questo film composto quasi interamente da immagini d’epoca, ma anche una serie di lucide considerazioni su ciò che sembrava un sogno e si rivelò invece talvolta un incubo (la misera realtà dell’Unione Sovietica) e talvolta, semplicemente, un’illusione (la morte di Palmiro Togliatti, che nel 1964 che mise fine a un’epoca gloriosa). Un buon film di montaggio dalla durata piuttosto ridotta (70 minuti), forse meno evocativo e struggente di quanto avrebbe voluto essere. Sauro, in ogni caso, con il suo marcato accento romagnolo e la sua saggezza solo apparentemente semplice, è un protagonista credibile e in un certo senso coraggioso, eroico: tornato da Mosca, volle raccontare ai suoi compaesani tutte le drammatiche contraddizioni di cui era stato testimone. Ma nessuno lo volle ascoltare.
Alberto Gallo