Eccoli là. Tutti pronti a giudicarmi. Tutti seduti sui loro scranni pesanti e lo sguardo inquisitorio.
Il tribunale è affollato e mi sembra un po' eccessivo, visto che non so i capi dell'accusa ma non mi sembra di aver fatto niente di diverso dal solito ultimamente.
La cosa strana è che intorno a me vedo tante facce note. Facce di tutti i giorni. Sono i miei colleghi e questo è un tribunale lavorativo.
Provo a elencare i miei possibili errori. Avrò sbagliato a scrivere un documento? Avrò inviato degli insulti via mail all'indirizzo sbagliato? Avrò perso un cliente?
Non mi viene in mente proprio niente, e la sensazione che la reazione sia esagerata persiste.
Alzo lo sguardo verso il giudice e verso la sua parrucca boccolosa, poi mi volto di nuovo verso il pubblico: sono pronti a giudicarmi, è vero, ma tutti vestiti di stracci e brandelli di stoffa. Il più pulito qui dentro è coperto di pulci e polvere della strada, colori sbiaditi dalle fatiche di ogni giorno.
Io ho un bel vestito a fiori.
Sorrido al giudice. Forse non sono così colpevole, in fondo.
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