Per avere un’idea del livello di paranoia e di islamofobia che, opportunamente alimentata, sta montando da questa parte dell’Atlantico – e non solo da questa – vi racconto oggi una storia che sta dilagando sui media americani... Di Piero Cammerinesi
Houston 19 Settembre 2015 – Proprio dalle mie parti, a Irving in Texas, un ragazzetto di quattordici anni, un piccolo genio con l’elettronica e la meccanica, uno che – come dice il padre – ripara tutto “mi ha sistemato il telefono, l’auto, il computer”, si costruisce da solo a casa un orologio digitale. Lunedì scorso lo porta a scuola per mostrarlo, orgoglioso, ai professori e ai compagni di corso. Il problema è che il nostro eroe non si chiama John Smith ma Ahmed Mohamed. Di conseguenza, il professore d’inglese fa 2+2: nome arabo e orologio elettronico che assomiglia maledettamente a un timer per una bomba – uguale terrorismo. Così, manco a dirlo, da vero patriota chiama subito il 911, che, per ironia della sorte, è il numero della polizia. La quale arriva in quattro e quattr’otto e ti arresta, con tanto di manette davanti a tutta la classe – qui le manette le mettono da 1 a 99 anni senza eccezioni – il nostro bravo Ahmed che, sgranando i suoi occhioni scuri, cerca di spiegare ai cops che quello è un semplicissimo orologio digitale home made. Impresa impossibile, evidentemente. Infatti, lo sventurato genietto si passa qualche ora in carcere minorile, finché l’equivoco non si chiarisce. Nel frattempo il finimondo sulla stampa e in TV. Due fazioni contrastanti, a dirsele e darsele di santa ragione. Il capo della polizia Larry Boyd che difende a spada tratta il suo operato e latra: “Nonostante il ragazzo insistesse che si trattava di un orologio il professore di inglese ha fatto bene a confiscarlo perché aveva una forma sicuramente sospetta” (notare l’ossimoro del sicuramente sospetta), Mark Zuckerberg che si unisce al coro di protesta e invita il ragazzo da lui, affermando che “il futuro appartiene a persone come Ahmed”, e finanche il presidente Obama che invita Ahmed a fargli vedere il suo cool clock alla Casa Bianca, scrivendo un tweet che recita “dobbiamo stimolare più giovani come te alla scienza. È quello che rende grande l’America”. Insomma tutto il circo mediatico in grande spolvero. Voi direte, a questo punto, “bene tutto quel che finisce bene, dunque“. Neanche per sogno. Il fatto è che – nonostante la totale inconsistenza dei motivi che hanno portato all’arresto di Ahmed – ci sono ancora oggi, a distanza di alcuni giorni, diversi personaggi politici – compresi molti dei candidati alle elezioni presidenziali 2016 – che ancora difendono l’arresto di Ahmed. Uno di questi personaggi è Frank Gaffney, a suo tempo un assistente del segretario alla difesa dell’amministrazione Reagan, il quale, con una straordinaria piroetta logica, sostiene che l’intera controversia sull’orologio di Ahmed non è altro che una operazione influenzata dal Consiglio delle Relazioni americane-islamiche, un gruppo di diritti civili che il nostro Gaffney accusa di promuovere la jihad in collegamento con i Fratelli Musulmani. Sarebbe un po’ come tirare un pugno a uno e poi sostenere che è lui che ha sbattuto intenzionalmente la faccia contro il nostro pugno. Cosa non si fa per diffondere la paranoia…
Fonte: www.altrogiornale.org