Come veniva evidenziato dai dati ripresi nell’articolo di giovedì scorso, la crisi editoriale, come in tutti i settori industriali, ha impatto, anche, su quelle che personalmente preferisco chiamare umane risorse nell’ipotesi che invertendo i fattori il risultato cambi.
La parte preponderante, o almeno quella più visibile, dell’informazione è affidata al lavoro dei giornalisti che per definizione ne sono i principali autori.
Recentemente, durante un incontro tra amici, mi è stato raccontato, da una persona che vi lavora all’interno, che uno nota casa editrice, multinazionale con importante sede italiana, su uno staff di 500 persone aveva un organico di 250 giornalisti, un peso strutturale economico non indifferente.
Pare che nel nostro paese sia una realtà diffusa.
Secondo i dati del recente rapporto dell’ OECD, il nostro paese è quello che, tra tutte le nazioni prese in considerazione, presenta il rapporto più sfavorevole tra numero di giornalisti impiegati e copie di quotidiani vendute.
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Difficile in queste condizioni parlare di libertà d’informazione, si sa che “chi mi dà da mangiare lo chiamo papà”.
Non vi è dubbio, il troppo stroppia da più di un punto di vista.