Io sono un’ala
che d’amore dissente,
in sé smarrita si ricanta g.p.
Giuseppe Piccoli è un poeta cui torno immancabilmente quando, mentre scrivo, osservo che il mio linguaggio istintivo è come datato rispetto alla mia tempistica attuale, ossia quando la lingua che si rivela attraverso la poesia la sento volgere a una fase terminale la cui decadenza coarta una scelta semantica non esatta rispetto la percezione del tempo interiore che frattanto è mutata. Torno a Piccoli perché è un poeta italiano capace di aperture sorprendenti, di nitori incomparabili nonostante la malattia che gettava la sua vita nel caos. Questo nitore di Piccoli mi è apparso fin dai primi tempi in cui me ne occupavo, come una formulazione che non c’entra con quella diacronia che sfasa la scrittura dal ritmo in cui nasce un istante prima che come immagine. Credo che ciò in Piccoli avvenga per via di un’attitudine che pochissimi artisti hanno, quella di mutare di riflesso in accordo con la profondità delle proprie visioni, come avviene per l’adattamento di un’intera specie nell’ambito di un eterno percorso evolutivo che la vede preservata proprio perché è tra quelle in grado di mantenersi costantemente nasciture. Credo che il mio amore per la poesia di Piccoli nasca qui, dal suo non soffrire questi sfasamenti ma nel connaturarli con una felicità espressiva stranamente conciliante rispetto alla virulenza del male da cui era colpito: ho scordato nella polvere della strada/ il crescere del tempo e l’urto delle ore/ che vogliono sempre un gesto o una sfera/ nell’anima che violenta respira …
*
Vado cercando un rigo dove
la parola prenda una casa:
qui riposa amore della cosa
più sua: la certezza di essere dato.
Ma io errando con la mia catena
ancora guardo all’ora alla sua corsa
dove scende la forza che mi assorda.
Vedi: tra pietre si fa lungi il sonno.
E la belva ovattata si annida
e solo il gelo addenta
la carne dell’eroe nella sua morsa.
*
Chi sono? Una sillaba acquisita
nel cerchio provvidenziale,
la sicurtà che non è più straniera
nel prezzo quotidiano del dubbio
che io mi trovi in condizione immorale.
Ma il “tu” che non scappa dalla solitudine,
il testo reale e non imbrogliato,
la caduta sul suolo amato
sono l’ortica, che mi punge
come fa una mamma.
Fratello poeta, Giuseppe Piccoli, Lietocolle, 2012
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