Ecco la mia rubrica MilleOrienti pubblicata sul più recente numero della newsletter Eco News. Buona lettura, MR.
«Qual è la più grande industria del nostro pianeta? Il turismo. Con 260 milioni di addetti ai lavori nel mondo genera il 10,7% del prodotto lordo mondiale ed è anche l’industria che sta crescendo più rapidamente, sull’onda della globalizzazione.
La coscienza ecologica che pur tra mille difficoltà si va diffondendo in tutto il pianeta non poteva non coinvolgere anche l’industria del turismo, che – sia pure in modo parziale e non in tutti i luoghi – sta “cambiando pelle”. Sta cioè facendo i conti con l’impatto ambientale prodotto dallo spostamento di grandi masse di persone, un fenomeno che da una parte produce guadagni ma dall’altra è così impattante da rischiare lo snaturamento dei luoghi turistici e quindi, in prospettiva, un calo di attrattività dei luoghi stessi, con il conseguente calo di quei guadagni.
Da qui la crescente diffusione, in quest’ultimo decennio, del concetto di “turismo sostenibile”. Un nuovo modello che spesso viene confuso con l’ecoturismo, che è solo un sottoinsieme del primo in quanto punta specificamente alla fruizione turistica degli ambienti naturali.
Il turismo sostenibile è invece un modello più ampio, che comprende l’ecoturismo ma va oltre. E’ un modello di sviluppo responsabile, ecologicamente consapevole e lungimirante sul piano economico, perché sceglie di produrre ricchezza secondo quattro criteri: 1) apprezzamento e tutela delle risorse naturali e della biodiversità del luogo visitato; 2) valorizzazione del patrimonio artistico e culturale del luogo; 3) rispetto per le identità e le tradizioni locali; 4) coinvolgimento delle popolazioni locali, che non devono venire escluse dai processi decisionali né dalla produzione di reddito.
Alla luce di ciò, consideriamo il continente in cui l’industria del turismo sta conoscendo lo sviluppo più rapido: l’Asia. Facciamo dunque un paragone fra i due giganti asiatici, la Cina e l’India.
Il Banjaar Tola Tented Camp nel Kanha National Park, India. Foto di Marco Restelli
La Cina sta vivendo una crescita tumultuosa anche in campo turistico. Secondo l’Organizzazione Mondiale
del Turismo, nel 2010 la Repubblica Popolare ha scavalcato anche la Spagna e occupa ormai il terzo posto nella classifica delle maggiori destinazioni turistiche del pianeta, con 56 milioni annui di visitatori stranieri, il 10% in più dell’anno precedente. Guardiamo ora i dati del flusso bidirezionale fra Italia e Cina: nel 2010 sono stati quasi un milione i cinesi che hanno visitato l’Italia, e circa 240mila gli italiani che hanno visitato la Cina (con una crescita del 20% rispetto all’anno prima). Eppure la Cina è ancora molto arretrata nel campo del turismo sostenibile, con poche aree attrezzate per l’ecoturismo e poche strutture alberghiere a basso impatto ambientale.Diverso invece il caso dell’India, che nel 2010 è stata visitata da 70mila italiani. Accanto alle mete tradizionali – come le città d’arte o i centri spirituali – in India stanno acquistando importanza le mete ecoturistiche: ci sono ben 250 aree protette, sommando i Parchi Nazionali e le Riserve regionali che gli indiani chiamano Wildlife Sanctuaries. Il turismo naturalista è in crescita perché i viaggiatori si stanno accorgendo che in ogni regione, non lontano da una meta d’arte, c’è una riserva naturale che vale la pena visitare. E anche il modo di risiedere sta cambiando: accanto alle strutture alberghiere in stile “globalizzato” e spesso anonimo (così frequenti in Cina) in India vanno moltiplicandosi gli eco-lodge, strutture raffinate, ricche di legami con la cultura del territorio, e a basso o nullo impatto ambientale.
E’ il caso del Banjaar Tola Tented Camp, un eco-lodge che sorge al confine di uno dei più bei parchi naturali dell’India centrale, il Kanha National Park nello Stato del Madhya Pradesh, dove i turisti vengono per vivere l’esperienza del safari fotografico fra tigri, giaguari e rare specie di uccelli. «Il nostro lodge, che sorge al confine della foresta, è un modello di eco-sostenibilità», mi spiega Harpreet Singh Gill, un sikh che è il General Manager del lodge. «Per realizzarlo, nel 2008, non abbiamo tagliato neanche un albero e non abbiamo cementificato: abbiamo scelto di fare un grande campo tendato, pur con tutti i comfort. Coltiviamo qui tutto quello che mangiamo, non inquiniamo il parco, tutti i rifiuti vanno in raccolta differenziata, non disturbiamo in alcun modo gli animali della foresta (non produciamo nemmeno inquinamento luminoso), e quanto al riscaldamento per la stagione fredda…è prodotto da pannelli solari che riscaldano l’acqua e questa circola sotto il parquet di legno delle tende mantenendole calde».Bene, dico fra me. Ma poiché il modello del turismo sostenibile contempla anche il rispetto e la valorizzazione delle culture locali, chiedo a Singh Gill che rapporto ha il suo lodge con la popolazione, che in questa regione è costituita in grande maggioranza da tribali. «La gente del luogo ha prodotto gran parte degli oggetti che sono in questo lodge, comprese tutte le sculture tribali che lo arredano», dice. «Inoltre partecipiamo a numerosi progetti di sostegno della popolazione, dallo sviluppo dell’artigianato tradizionale all’allevamento delle api per la produzione del miele che i nostri clienti consumano a colazione. Senza contare che il personale del lodge è costituito in buona parte da tribali».
L’esempio del Banjaar Tola non è isolato, in India. Si tratta di una tendenza che – lentamente ma progressivamente – va affermandosi. E se la via del turismo sostenibile è ancora lunga (in Asia come altrove) si può dire che l’India sia sulla buona strada.