Magazine Diario personale

Il valore della chiacchiera 2.

Da Enricobo2
Voglio completare il discorso dell'altro giorno e non solo perché non ho altro da dire oggi, non siate malevoli. Il fatto è che rileggendo  (sì certo li rileggo anche i miei post, un po' per correggere le castronerie e tanto per cambiare c'erano due congiuntivi fuori posto che stonavano come due campane fesse, un po' per crogiolarmi nel caldo afrore postcoitale della opera compiuta), devo rettificare parzialmente quanto detto. Certo la vita dedicata alla chiacchiera (invece che all'operosità calvinistica che sarebbe stata ben più meritoria, ma forse più noiosa) ha avuto la sua bella parte, ma doveva esserci qualche cosa in nuce, all'interno del mio testone pigro, una specie di inclinazione naturale, che ritenendo di certo più facile raccontarla che muovere le braccia, far insomma sudare più la lingua che la schiena, mi ha indirizzato verso il binario verbale invece che spostare lo scambio del mio treno di vita su quello delle opere. Me lo ricorda sempre una cara amica, che di tanto intanto fa capolino nei commenti, riportando alla mia ormai debole memoria, fatti lontani a riprova di questo assunto. Ecco dunque un gruppo di ragazzini, in una calda estate di tanti anni fa. L'aria quasi ferma per l'afa pesante della pianura che allora potevi chiamare padana senza provarne fastidio. Un pomeriggio dove cercavi solo l'ombra dei gelsi sotto cui sederti, continuando a buttare l'occhio a quelle ragazzine assolutamente intoccabili, senza neppure capire ancora bene dove volevano parare quei desideri inespressi. Bastava poco per riempirli quei pomeriggi; d'altra parte nessuno allora aveva soldi in tasca per suscitare invidie fuori tempo in chi non ne avesse. 
Quel giorno, sotto il gelso più grande trovammo una talpa morta da poco, un piccolo animale in una situazione tuttavia strana ed inusuale anche per noi. Si decise subito di organizzare un funerale. Il luogo fu scelto con cura alle pendici delle basse colline della strada della Cerca, in località detta gli Autén, come si scriverebbe in un verbale dei Carabinieri. Inforcammo tutti le biciclette, spingendo sui pedali giù dalla discesa. Io avevo una Maino gialla con il manubrio corto, sportivo e cambio Campagnolo a cinque rapporti, che il mio papà, pur con grandi sacrifici non aveva saputo negarmi. Come ero contento di quella bicicletta; spingevi sui pedali sul rapporto più corto e ti sembrava di volare lungo la discesa, mentre l'aria ti sferzava le guance, con quell'odore di sambuco ed i pappi dei pioppi che scivolavano via veloci senza posarsi per terra, scompigliati dalla velocità.  Arrivammo con tutta la banda nel luogo prescelto, dove  fu scavata una piccola buca e, depostovi il cadaverino peloso, con cura preparato un piccolo monticello della terra grassa, nera e morbida tra i canneti vicino al fosso. A questo punto, l'opera andava compiuta, così qualcuno aveva ideato, altri avevano compiuto, altri ancora avevano collaborato materialmente alle operazioni tecniche connesse alla sepoltura, qualche ragazza aveva assistito con sguardo mesto, ma qualcuno doveva incaricarsi dell'orazione funebre. Avete indovinato, toccò a me l'onere della prolusione che pronunciai con sussiego e compunzione, così come il frangente richiedeva. Niente da fare, il mio destino era già segnato. La vecchia bicicletta gialla invece è lì che giace arrugginita e con le gomme sgonfie nell'angolo più scuro della cantina, triste, quasi si vergognasse di esserci ancora.

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