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Il valore di una resistenza: We Want Sex

Creato il 10 agosto 2014 da Nicola933
di Cinzia Carotti Il valore di una resistenza: We Want Sex - 10 agosto 2014

Titolo originaleMade in Dagenham
Regia: Nigel Cole
Cast: Sally HawkinsBob HoskinsMiranda RichardsonGeraldine JamesRosamund Pike
Genere: Commedia
2010
113 min

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Di Cinzia Carotti. Siamo nel 1968 a Dagenham. La fabbrica della Ford dà lavoro a 55mila operai e a 187 donne, addette alla cucitura dei sedili per auto in un’ala fatiscente, dove si muore di caldo e piove dentro. In seguito ad una ridefinizione professionale ingiusta e umiliante, che le vorrebbe “non qualificate”, le operaie danno vita con uno sciopero ad oltranza alla paralisi dell’industria e alla prima grande rivendicazione che porterà alla legge sulla parità di retribuzione.

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Nigel Cole è un regista fortunato e felice. Dopo L’erba di Grace si trascina sorridente in una rappresentazione ambiziosa delle lotte sociali che hanno attraversato il secolo scorso e mai digerite interamente dalla maggior parte della popolazione mondiale. Il montaggio preciso e didascalico, la sceneggiatura carica di sfumature e dialoghi carichi di effetto rendono la commedia godibile e veloce, facendo riflettere senza subire il peso sociologico del tema trattato. L’ironia intelligente, tagliente individua due temi cardine: la donna oggetto sessuale e la madre universale delle creature umane che è stanca di essere relegata a orpello da arredamento. Il confine tra le due sfumature è indefinibile eppure necessario e Cole cerca di rappresentarlo.

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Il fatto che le donne vengano pagate meno dei loro colleghi uomini è ancora una realtà attuale. Vero è che si cerca di appianare la differenza come un dato di fatto, eppure, le donne vengono relegate in (s)comodi part time, spesso sottopagati e sotto qualificanti. La questione è urgente a livello europeo: la donna può essere donna in un capitalismo dalle fortissime connotazioni maschili (e maschiliste)?. Il nord Europa sembra aver appreso e digerito la lezione delle operaie della Ford e quanto meno sulla carta si è mosso perché ad esse venga riconosciuta una dignità che vada oltre il fatto di essere donne fertili in età riproduttiva. Quello che sottolinea Cole è il punto successivo e quanto mai presente nel nostro paese: la donna ha superato la barriera del salario e della contribuzione ma viene penalizzata per il suo ruolo naturale. Enfatizzando la necessità riproduttiva femminile, le sue esigente e tutele strutturali, la donna viene vista con sospetto e quella tutela della maternità (vista come una conquista dalla “vecchia guardia” del 1968) oggi è una trappola subdola e mordace: la donna è ancora un oggetto sessuale. E’ madre, donna, amante e compagna ma soprattutto madre. Dove il wealfare è ambizioso anche la donna ha maggiore spazio, mentre dove la maternità viene enfatizzata la donna rimane a casa e spesso sfruttata a causa della sua età e del legittimo e naturale desiderio di maternità (e paternità!). In questo caso la traduzione italiana We want Sex risulta quanto mai azzeccata rispetto al titolo originale. La donna ha diritto di godere, di lavorare ed essere riconosciuta prima di tutto come individuo poi come madre. Lo stato deve provvedere a rendere la maternità sostenibile con le ambizioni di realizzazione lavorativa di tutte le donne.

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Cole ha una delicatezza sopraffina nell’offrire un ritratto preciso di ogni femminilità offesa in modo subdolo, in modo occidentale. Le donne di Cole non vengono picchiate, fustigate, relegate in case o coperte con enormi teli ma offese quotidianamente nella loro dignità di donne sotto molteplici punti di vista. Abbiamo la donna oggetto che si presta volontariamente solo per il piacere di sedurre ed essere sedotta, l’operaia con il marito offeso nella mente a causa della guerra e lasciata sola nel suo dolore e colpevolizzata se non arriva in orario, la madre che sotto ricatto cede al datore di lavoro pur di non perdere il posto sacrificandosi per i figli, la donna laureata con lode nelle più prestigiose università europee e portata a spasso come un cagnolino da fiera. Cittadine di serie b, anche se fatte passare per risorse fondamentali per la specie umana e quindi iper tutelate, vengono mostrate nel loro meccanismo di ribellione a un secolare modello di ruolo che le vuole non solo subordinate al potere (sia esso politico o famigliare) ma anche a loro stesse. La lotta è duplice e costante. Le donne lottano ed entrano in sciopero non solo contro la fabbrica, ma anche contro il loro senso di colpa. Analizzano le loro priorità, i loro desideri (we want sex appunto e senza vergogna) le loro ambizioni e i loro affetti più intimi. Non cedono a nessun ricatto ed è una lezione attualissima soprattutto alle generazioni di giovani ormai da anni (senza distinzione di sesso) messi sotto ricatto salariale a causa della crisi. Non esiste lavoro che valga la vostra dignità urla il film. E’ un messaggio vecchio e nuovissimo che va urlato e tatuato nella mente nelle generazioni vittime della crisi capitalistica. I giovani, come le operarie davanti alla ministra per lo sviluppo, devono dimostrare la loro profonda umiltà e dignità di chi non chiede altro che guadagnare onestamente ciò che spetta alle proprie competenze, indipendentemente dal sesso (anche se nel film è detto in modo più colorito!).

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Il tutto viene alleggerito con una ironia gratuita e senza malizia. I luoghi comuni maschili vengono messi in luce esattamente come quelli femminili. Magistrale la scena in cui l’operaia capo della protesta disquisisce amabilmente sugli abiti con la ministra e il padre di famiglia che brucia il soffritto non essendo in grado di cucinare neanche lo stretto indispensabile. I grandi assenti sono i figli del 1968, persi come non mai fra i litigi e i desideri dei loro genitori, preoccupati per il futuro da non godersi il presente.

 ★★★1/2


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