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Il venerdì nero della Sicilia

Creato il 02 febbraio 2013 da Bourbaki @bourbakis
At sixes and sevens è amico degli animali e della natura, qui piacciono molto i versi di Nikos Katzanzakis:
Abbiate cura degli animali, delle mucche, delle pecore, degli asini; credetemi, anch'essi hanno un'anima, sono esseri umani, solo che hanno il pelo lungo e non sanno parlare; sono uomini d'un tempo remoto, date loro da mangiare; abbiate cura degli ulivi e dei vigneti, anch'essi un tempo erano uomini, ma tanto, tanto tempo fa e non hanno più memoria; l'uomo la conservi 
Per questo pubblico volentieri questa denuncia arrivata da amici. E' un racconto lungo ma per favore, leggete

Venerdì, 11 gennaio 2013: il venerdì nero della Sicilia inizia presto. Poco più tardi passa la gru che completerà la costruzione del MUOS nella sughereta di Niscemi 


Già all’una, in piena notte, numerosi mezzi, blindati e non, della polizia e dei carabinieri con centinaia di uomini in assetto antisommossa cinge un assedio spaventoso alla contrada Apa-Ulmo di Niscemi. Scopo dei blocchi, evidente e dichiarato (e forse pure annunciato dalle parole, solo all’apparenza prive di senno, di ministri tecnici e mestieranti della politica) è impedire il transito ai cittadini, siciliani e non, diretti al presidio No MUOS. Un presidio, peraltro, sorto su una proprietà privata di cui il movimento sta perfezionando l’acquisto.
Ma il perché di un tale schieramento contro semplici cittadini, pacifici, armati solo delle proprie ragioni (ragioni peraltro sancite dal buon senso prima ancora che dalle norme del diritto italiano e comunitario, dalla costituzione italiana e persino dalle convenzioni e dai trattati internazionali) non sfugge: quello schieramento vuole sì spaventare, dissuadere mi sembra inappropriato, ma non solo. Vuole spaventare, ma punta a impedire, riuscendoci, ai padri e alle madri di famiglia e ai numerosi ragazzi accorsi, anche solo di avvicinarsi al tragitto che seguirà la gru.
Già la gru: “grazioso” aggeggio meccanico che solleva quattro o cinquecento tonnellate sino a 165 metri di altezza. Avete sentito bene: 165 metri. Cosa solleveranno mai, stavolta? E tanto in alto? Niente di che, normale amministrazione per le arms-mafie e i signori della guerra: ciò che ancora manca all’arma perfetta per le guerre del terzo millennio. Ossia le parabole che completeranno la costruzione della stazione di terra del MUOS in Sicilia all’interno della riserva naturale Sughereta di Niscemi ove sorge una base militare a esclusivo uso della marina militare degli Stati Uniti. Per due mesi gli attivisti No MUOS con la loro pacifica azione di denuncia sono riusciti a ritardarne il passaggio. Oggi, di colpo, non possono più avvicinarsi: il governo italiano ha deciso, rendendosi complice, di fatto, delle logiche della guerra e degli interessi della shock economy, di un’economia basata sulla guerra e che realizza, in barba a ogni crisi, affari fiorenti e profitti miliardari. Profitti dell’industria bellica che hanno un alto, altissimo, costo sociale e umano: queste armi di Niscemi, a forma di tre antenne paraboliche, grandi ciascuna quanto un campo di calcio, posizionate su giganteschi pilastri di cemento armato alti 150 metri circa, causano gravi danni (oltre che all’ambiente e alla sua bellezza e varietà di flora e fauna) alla salute e alle attività umane, economiche o ricreative che siano. E non basta: il MUOS è circondato da 91 antenne (che, forse, ma non posso dirlo con certezza, nel frattempo sono diventate 95) alcune alte decine e decine di metri, una addirittura 150 metri. Antenne tutte utilizzate esclusivamente dalla marina militare americana, senza che lo stato italiano o la NATO vi abbiano il benché minimo accesso, per guidare droni (aerei senza piloti che stazionano in Sicilia, sempre più impiegati nelle operazioni belliche), sottomarini ad armamento nucleare, missili. Antenne che studi del politecnico di Torino, o compiuti da fisici indipendenti e da agenzie pubbliche di ricerca hanno accertato, non solo come nocive, ma come letali perché superano di molto i limiti consentiti dalla legge. Una legge aggirata anche dalla rigidissima normativa regionale che, con un codicillo al regolamento emanato il 5 settembre scorso, non si applica “agli ambiti militari”… Sic!
Chi arriva nelle prime ore di questo venerdì nero, i più in macchina, qualcuno a piedi, si trova dinanzi la polizia, nei suoi minacciosi equipaggiamenti, schierata davanti a fari accecanti, telecamere blindate e idranti puntati contro la gente. I mezzi sono schierati a bloccare le strade: una paletta intima l’alt, una folta pattuglia di irriconoscibili agenti armati di manganelli in mano e protetti da caschi e scudi circonda chi arriva. Realizza l’accerchiamento con fare svelto, professionale, distaccato e poi grida una sola frase: “di qua non si passa.” Se sei alla guida, provi a farfugliare qualcosa, se puoi fare inversione, mentre chi sta nel sedile accanto al tuo attacca un “la leucemia ce la prendiamo tutti, anche i vostri figli”, intanto armi da fuoco impugnate da altre mani guantate spuntano a dar manforte a chi minaccia l’uso del manganello. La frase cambia di poco, ma il tono è ancora più perentorio: “di qua non si può passare”. Dal buio spunta un altro agente, che si agita, tradendo l’aplomb dei suoi colleghi, e ti intima di abbassare le luci. Non avendo capito al volo, abbassi il finestrino, in cuor tuo stramaledici quel sant’uomo di Rosario Crocetta che se avesse revocato le autorizzazioni, lui che poteva, ti avrebbe risparmiato l’umiliazione di vederti un manganello sfiorarti il naso fin dentro la macchina perché non hai abbassato le luci che disturbano le riprese delle telecamere dal blindato. Capisci, però, che ti aspetta di peggio. E che il blitz notturno, perché è di notte che si muove chi ha qualcosa di losco da fare, perché il favore della notte arride ai signori della guerra, ti vedrà soccombere. Ma non ti arrendi subito, ragioni, cerchi di unirti ad altri, ti informi.
Saputo, con una certa approssimazione, dov’è arrivato il lento viaggio notturno della gru, se sei in mezzo a quella gente che almeno vuol vedere e poter raccontare a tutti quel che stanno facendo di notte e lontano dagli occhi della stampa locale e nazionale, percorri mille viottoli di campagna, fino a quando ne trovi uno non presidiato in armi e aggiri il blocco.
Sai che altri sono più avanti, stanno tentando di rallentare il transito della gru e del convoglio che la scorta: una colonna composta da una mezza dozzina di camion, molti mezzi e tanti uomini della polizia e dei carabinieri. Sai che quelli che sono andati un po’ più in là sono già stati sopraffatti, ma fai anche tu la stessa cosa degli altri: ti fermi e aspetti. Il freddo punge, le voci si rincorrono ai cellulari o con lo scambio di sms, il tempo passa in un attimo e arriva il convoglio. Alzi le mani, applaudi, ti fai vedere: si fermano. Provi a dialogare con i celerini (lo so che non si dice più così, ma non li voglio offendere, per carità), ma ti rendi conto che ti eri illuso: uno in borghese, in mezzo a quelli come te, si mette di lato e dice, teatrale: “Al tre!” Tutti lo guardano, lui scandisce: “Signori, u-no, due-e, TRE!”. Ti strattonano, in tanti, ti spingono, con gli scudi, con i manganelli con le mani guantate. Anche l’ultima resistenza è piegata. Qualcuno si rialza, grida, invoca. Un celerino, detto sempre senza offesa, si sofferma un momento e ti parla in siciliano — che arte, in mezzo fra il cinico e il qualunquista che gli hanno insegnato! — per dirti quello che non ti aspetti, quasi a giustificarsi: “Abbiamo l’ordine di farli passare, non possiamo fermarli, prendetevela con gli onorevoli che avete votato, non ce n’è al vostro paese?”
“Già, gran pezzo di rintronato”, gli vorresti rispondere, “io di gente così non ne voto”, ma lui si è già unito ai suoi colleghi. Peccato non portasse un cartellino identificativo, obbligatorio per tutti gli altri dipendenti delle pubbliche amministrazioni.

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