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Il Venezuela dopo Chávez: scenari e prospettive

Creato il 08 marzo 2013 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR
Il Venezuela dopo Chávez: scenari e prospettive

Secondo il Generale Josè Ornella, comandante della Guardia Presidenziale, le ultime parole di Hugo Chávez, presidente del Venezuela spirato martedì scorso, sarebbero state un’angosciata richiesta: «Non voglio morire. Per favore non lasciatemi morire». Queste parole sono forse state la disperata e vana rivolta di uno spirito ancora indomito contro un corpo morente, il dolore d’un cinquatottenne moribondo che non riesce ad accettare la sua fine prematura. Ma il senso d’angoscia era forse rivolto anche, se non soprattutto, al nuovo Venezuela, al PSUV, alla “Rivoluzione bolivariana”, all’ALBA; le sue creature, ancora così giovani e dipendenti dal suo artefice, e che oggi alcuni temono non riusciranno a sopravvivere a Chávez.

Per ora di saldo e sicuro c’è il nome del successore, quello del vice-presidente Nicolás Maduro. Quando Chávez l’8 dicembre scorso ha annunciato al Venezuela e al mondo la ricomparsa della malattia, e la necessità di tornare a Cuba per le cure, ha compiuto un’investitura in piena regola, chiedendo ai sostenitori, qualora non fosse riuscito a sopravvivere, di eleggere Maduro come suo successore. Nicolás Maduro, nato a Caracas nel 1962, ha approcciato la politica dal lato sindacale, come rappresentante dei lavoratori dei trasporti urbani della capitale. Cosa non da poco, considerando che quando svolgeva tale ruolo – erano gli anni ’70 e ’80 – in Venezuela i sindacati erano ancora fuorilegge. Di umili origini, ha però sposato Cilia Flores, avvocato, che capeggiò la squadra di legali capace di tirar fuori di galera Chávez a due anni dal fallito golpe del 1992. La coppia è stata ampiamente ricompensata per il suo appoggio: la signora Maduro è divenuta la prima donna a presiedere l’Assemblea Nazionale (il parlamento venezuelano) ed attualmente è la Procuratrice Generale del paese. Il marito invece, come noto, è stato Ministro degli Esteri dal 2006 fino al gennaio scorso, Vice-presidente dall’autunno passato, ed oggi Presidente ad interim e candidato alle imminenti elezioni per scegliere il successore di Chávez alla guida del paese.

Le consultazioni si svolgeranno entro il 4 aprile e la vittoria di Nicolás Maduro pare scontata. Il 7 ottobre scorso il voto popolare ha dato la maggioranza assoluta, e dieci punti percentuali di vantaggio sul principale rivale, al candidato del Partido Socialista Unido de Venezuela (PSUV), ossia Hugo Chávez. È difficile immaginare un ribaltone a così breve distanza di tempo, malgrado la perdita di un candidato tanto carismatico, perché Maduro potrà capitalizzare elettoralmente la tragica fine del suo capo. L’ondata di commozione per la morte prematura del Presidente spingerà numerosi elettori a dare al delfino designato il proprio voto. Si tratta di un fenomeno che si è osservato di recente in altri paesi. Cinque mesi dopo la morte di Jörg Haider (anche lui a 58 anni) in un incidente d’auto, il suo partito BZÖ riuscì ad ottenere il 44% dei voti nelle elezioni regionali in Carinzia. Nel 2002 in Olanda, poco dopo l’assassinio del suo leader Pim Fortuyn, la lista neonata che ne recava il nome riuscì a diventare il secondo maggiore partito del paese. È probabile che qualcosa del genere si verifichi anche in Venezuela, garantendo a Maduro una vittoria di portata paragonabile a quella recentemente ottenuta da Chávez.

La denuncia del Vice-Presidente d’un complotto che potrebbe essere all’origine della morte di Chávez, l’espulsione di due diplomatici statunitensi, possono essere lette anche come una strategia politica. Creando il clima del “fronte contro fronte”, della necessità di salvare la patria dal nemico interno in combutta con quello esterno, Maduro ha generato un nuovo potente sentimento da sommare alla commozione per la morte del Presidente. Ciò dovrebbe ulteriormente rafforzare la sua candidatura alle imminenti consultazioni popolari. Ma è probabile però che l’introduzione di questo discorso mirasse anche a rafforzare la posizione di Maduro all’interno del suo partito. Il PSUV è una formazione giovane, nata appena sei anni fa, e assai dipendente dalla leadership del suo fondatore, ideologo e dirigente. Il fatto che abbia quasi sei milioni di iscritti in un paese la cui popolazione non raggiunge le 30 milioni d’unità è un’indice tanto di forza quanto di debolezza. Si tratta di una cifra impressionante, ma dà anche la misura del modo in cui il PSUV si sia legato allo Stato, si compenetri con esso. La storia è piena d’esempi di “partiti di Stato” che si sciolgono come neve al sole non appena tale legame viene meno. Va poi aggiunto che il PSUV nasce dalla fusione di più partiti, in cui quello chavista è solo una componente, benché dominante, e che a sinistra del PSUV vi sono tutta una serie di partiti che, pur non aderendo al progetto unitario chavista, hanno continuato a sostenere la “Rivoluzione bolivariana”. Finché Chávez è rimasto in vita, non è sorta nessuna significativa opposizione “da sinistra” alla sua figura. Non è scontato che ciò continui ad essere vero coi suoi successori, soprattutto se dovesse esserci qualche modifica di condotta politica.

Chávez era anche il presidente del Partito, e dunque a breve partirà una contesa interna per riempire il vuoto di potere interno lasciato dalla sua morte. Maduro è ovviamente favorito, essendo riuscito per ora a farsi accettare come successore di Chávez, ma non va dimenticato che il vice-presidente del PSUV (e dunque attualmente carica più elevata) è quel Diosdado Cabello da più parti indicato come grande rivale di Maduro. Militare, da tenente affiancò Chávez nel fallito golpe del 1992 e poi nella campagna che portò il Colonnello a conquistare la Presidenza del paese nel 1998. Nominato Vice-Presidente, nei fatidici giorni del 2002 assunse temporaneamente il governo dopo il fallimento del golpe dei nemici di Chávez, e fu lui a inviare un reparto militare d’élite sull’isola della Orchila per liberare il Presidente prigioniero. Nel 2008 ha perso il governatorato dello Stato di Miranda contro Henrique Capriles, oggi leader dell’opposizione, ma la sua carriera non si è arrestata: attualmente presiede l’Assemblea Nazionale. Gli esperti dicono che Cabello abbia l’appoggio delle FF.AA., essendo un militare, mentre Maduro sarebbe il campione dell’ala civile del PSUV. In ogni caso, gli ultimi giorni hanno dimostrato il netto prevalere di quest’ultimo. Infatti, secondo la Costituzione sarebbe spettato al Presidente dell’Assemblea assumere l’interim della guida della nazione, ma Cabello è stato comunque sopravanzato da Maduro. I rapporti di forza per ora sono chiari ed eclatanti, ma non è detto rimangano così per sempre.

Senza dubbio i successi elettorali saranno il miglior espediente per mantenere unito e compatto il PSUV, mentre delle sconfitte potrebbero scatenere processi centrifughi incontrollabili. Prima si è proposto l’esempio di due partiti europei che, grazie alla morte del loro fondatore e capo carismatico, hanno ottenuto degli exploit elettorali; ma c’è una seconda parte della storia, e cioè che quegli stessi partiti altrettanto rapidamente hanno perduto quanto guadagnato e anche più, fino a divenire insignificanti. La dimensione della dipendenza del PSUV dalla figura di Chávez si può ricavare dai risultati delle passate elezioni. Nel 2010, alle consultazioni per il rinnovo del parlamento, il PSUV ha ottenuto il 48,3% dei consensi, ossia appena l’1,1% in più del blocco d’opposizione. Due anni dopo, alle presidenziali, Chávez ha invece conseguito un risultato del 55,07% dei voti con oltre 10 punti percentuali di vantaggio sul maggiore sfidante. Va detto che lo stesso Chávez, rispetto a sei anni prima, era calato di circa 8 punti percentuali, sebbene in valore assoluto i suoi consensi fossero passati da 7.300.000 a 8.200.000. Una tendenza discendente evidenziata anche dal gap tra il risultato del solo MVR nel 2005 (60% dei voti) e quello del PSUV nel 2010 (48,3%). Un segnale incoraggiante per il Partito viene però dalle ultime elezioni regionali, svoltesi il dicembre scorso: il PSUV ha infatti conquistato 20 Stati su 23, due in più rispetto al 2008.

Maduro e i dirigenti del PSUV avranno davanti a sé vari compiti difficili, ma uno di questi sarà il consolidamento ideologico del “Socialismo del XXI secolo”, finora confusosi troppo col “chavismo”. La personalizzazione della politica è, a dire il vero, un tratto distintivo dell’America Latina. Da Vargas a Peron, da Castro a Kirchner, numerosi sono gli esempi di leader carismatici, e tra essi la figura di Chávez ha un ruolo di spicco. Non è certo impossibile che si crei un “chavismo senza Chávez”, tutt’altro, ma il pericolo insito nell’indefinitezza ideologica è ben illustrato dal caso del peronismo. Subito dopo la morte di Peron sono emersi gruppi i più disparati per idee, sensibilità e strategie, ma con l’unico punto comune di richiamarsi al suo nome. Già negli anni ’70 troviamo, da un lato, la vedova Isabelita che – seppur ben presto travolta essa stessa – ha un ruolo importante nell’avviare la guerra sucia e spalancare la porta ad una nuova dittatura militare, contro cui lottano invece i peronisti Montoneros. Il Partido Justicialista ha portato alla presidenza prima il neoliberale Carlos Menem, poi il socialista Nestor Kirchner, nel giro d’un decennio. Il peronismo, insomma, è diventato un contenitore assai duttile, in grado di accogliere una gran congerie di proposte dall’estrema sinistra all’estrema destra. Anche per questo, per fare chiarezza, è nata recentemente una nuova corrente, che è però non meno personalistica: il “kirchnerismo”. Il kirchnerismo è sopravvissuto brillantemente alla morte del suo leader eponimo, ma grazie alla presenza della vedova, Cristina Fernandez, che in virtù del legame familiare è risultata la guida indiscussa del nuovo filone, e d’altro canto si è rivelata più abile di Isabel Peron nel gestire l’eredità del marito.

Torniamo al Venezuela ed alle sfide immediate che lo attendono. Chávez lascia in eredità un paese che è uscito dalla drammatica crisi sociale degli anni ’90, quando l’adesione al Washington Consensus lo portò allo stremo, ma che d’altro canto non è ancora maturato in un’economia solida e diversificata. La dipendenza del Venezuela dall’industria petrolifera è assoluta, come dimostra la stretta correlazione tra prezzo del petrolio, valore delle esportazioni del petrolio e andamento del PIL durante gli anni di Chávez:

Anno Prezzo petrolio ($) Esportazioni petrolio Venezuela (mld. $) Andamento PIL Venezuela (%)

1998 13,1 12,2 +0,3

1999 18,1 16,7 -6,0

2000 28,2 27,9 +3,7

2001 24,4 21,7 +3,4

2002 24,9 21,5 -8,9

2003 28,9 22,0 -7,8

2004 37,7 32,9 +18,3

2005 53,4 48,1 +10,3

2006 64,3 58,2 +9,9

2007 71,1 63,0 +8,8

2008 97 89,4 +5,3

2009 61,8 54,2 -3,2

2010 79 62,3 -1,5

2011 104 88,1 +4,2

2012 105 88,1 +5,7

 
Un’economia tanto dipendente dalle oscillazioni del prezzo del petrolio non può considerarsi solida, e benché oggi i prezzi siano in ascesa, il paventato sviluppo del gas di scisto potrebbe rendere negative le prospettive sul lungo periodo. La scommessa per il Venezuela sarà dunque quella d’investire nella diversificazione economica, progetto ambizioso e difficile da realizzarsi senza una coesione strategica da parte dei dirigenti dello Stato. Sul piano sociale, l’amministrazione di Chávez ha conseguito risultati importanti, alla base della sua popolarità, soprattutto dopo la svolta nel 2004 col lancio del “Socialismo del XXI secolo”. Il reddito pro capite, che toccava il fondo nel 2003 con $ 3285, è poi salito fino agli $ 11.497 del 2009, cifra cui si sta riavvicinando dopo il calo del 2010. Ovviamente il reddito pro capite è funzione del PIL, e dunque in ultima istanza collegato alla rendita petrolifera, ma il merito di Chávez è stato quello di meglio distribuirlo nella società. L’Indice Gini, che misura la sperequazione del reddito, è passato dal 48,8 del 1996 al 39,02 del 2011; nello stesso periodo la percentuale di reddito detenuto dal quinto di popolazione più ricco è passata dal 53,1 al 44,8, e quella del quinto più povero dal 3,7 al 5,7. La disoccupazione è passata dall’11,4% del 1997 all’8% del 2012 (dopo aver toccato un picco del 18% nel 2003). La percentuale di popolazione sotto la soglia di povertà è passata dal 54,5% del 1997 al 33,2% del 2011 (dopo aver toccato un picco del 62% nel 2003).

SPECIALE: La morte di Chavez
Uno dei meriti del governo Chávez è di aver posto un freno all’inflazione, fuori controllo negli anni ’90 quando raggiunse picchi del 99% su base annua (nel 1996). Durante la sua Presidenza si è registrato un minimo del 12,5% (nel 2001), e solo nel 2003 e 2008 si è sforata quota 30%. Dopo la crisi finanziaria il livello si è per l’appunto alzato, sebbene nel 2012 l’inflazione sia stata ricondotta sotto il 25%. Un forte contributo potrebbero averlo dato le spese statali, passate dal 32,7% del PIL nel 2009 al 44,4% nel 2012. Tali spese sono necessarie per alimentare le politiche sociali e di sviluppo del governo in un contesto di rallentamento economico internazionale, ma è fondamentale producano dei risultati poiché, nel frattempo, si traducono in un crescente debito pubblico, schizzato dal 26,3% del PIL nel 2008 (Chávez era riuscito fino ad allora a ridurlo sensibilmente) al 51,3% del 2012. Probabilmente Maduro cercherà di mantenere elevate tali spese, anche per consolidare la sua popolarità e garantire tranquillità sociale in questa delicata fase di passaggio; ma se il suo governo si rivelasse troppo debole, la rendita petrolifera dovesse diminuire, oppure la Cina dovesse imporre una stretta sui suoi prestiti, allora sarebbe costretto ad adottare una politica più austera.

Passando alla politica estera, finché Maduro reggerà il timone ci si può aspettare una marcata continuità con Chávez: l’ex autista e sindacalista di Caracas è stato infatti il suo Ministro degli Esteri negli ultimi sei anni e mezzo, posizione dalla quale ha presieduto all’allargamento dell’ALBA dai due membri originari agli otto attuali, all’accesso del Venezuela nel Mercosur, alla costituzione effettiva dell’UNASUR e della CELC. Ciò che potrebbe cambiare è il peso del Venezuela nel contesto regionale. Chávez era uno statista carismatico cui diversi leader latinoamericani riconoscevano un ruolo di preminenza. Quegli stessi dirigenti saranno ora meno disposti ad accettare la leadership di Caracas: un personaggio come l’ecuadoriano Rafael Correa ha tutte le carte in regole per ergersi ad erede di Chávez sul piano internazionale. L’asso in mano a Maduro – o a chiunque altro deterrà il potere a Caracas – sarà, ovviamente, il petrolio. Le sovvenzioni che il Venezuela può garantire agli altri paesi, in natura sotto forma di petrolio o in danaro grazie alla rendita dello stesso, gli conferiscono una leva difficile da neutralizzare all’interno dell’ALBA e nell’America Latina in generale. Se non sarà costretta a privarsene per esigenze finanziarie o politiche interne, allora continuerà ad esercitare un ruolo preponderante nel quadro regionale.

Anche al di fuori della regione è plausibile che, finché Maduro sarà alla Presidenza, poco cambierà nella politica di Caracas. Maduro ha ad esempio già rassicurato Vladimir Putin, in una conversazione telefonica, della volontà di mantenere il rapporto di cooperazione forgiato dal suo predecessore. Russia e Venezuela negli anni passati hanno firmato importanti accordi in campo energetico e militare. Compagnie russe sono coinvolte nello sviluppo di tre blocchi del giacimento petrolifero Junin, nella Cintura dell’Orinoco. Le FF.AA. del Venezuela hanno acquisito dalla Russia armamenti d’ogni tipo: armi leggere, carri armati, elicotteri, caccia, sistemi antiaerei. La Cina, invece, negli ultimi anni si è affermato come grande acquirente di petrolio (seconda solo agli USA) e bond venezuelani: i prestiti di Pechino sono stati importanti per finanziare le iniziative sociali del governo di Chávez (dal 2007 la Banca di Sviluppo Cinese ha concesso più 42 miliardi di dollari di prestiti a Caracas). Chiunque si trovi a Palazzo Miraflores, è improbabile ci sia non solo la possibilità, ma pure la volontà di rescindere il legame con Pechino, tanto vantaggioso per il Venezuela.


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