Il Decreto Sblocca Italia come simbolo dell’incapacità dell’Italia di cambiare nonostante i propositi, gli auspici e i proclami? Sono tante le opinioni che si sono affollate questa settimana in merito ai contenuti relativi all’edilizia all’interno del provvedimento (Decreto Legge 12 settembre 2014, n.133) pubblicato in Gazzetta ufficiale la scorsa settimana. Ma la frase di apertura emerge come sottofondo al coro di voci che si sta sollevando in queste ore. In particolare da parte degli addetti ai lavori, architetti in primis.
“Con lo Sblocca Italia – spiega in una nota il Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori – il Governo Renzi ha sbattuto contro il muro della burocrazia conservatrice che ha mortificato e modificato il progetto di introdurre misure concrete per porre rimedio alla condizione delle città, del mercato dell’edilizia, degli architetti e degli altri professionisti del settore. Il Decreto contiene infatti, solo norme che sarebbero adatte a un Paese normale in tempi normali: per l’Italia di oggi ci voleva ben altro“.
Per un approfondimento specifico sul contenuto del Decreto Sblocca Italia leggi l’articolo Sblocca Italia in Gazzetta: edilizia, ecco cosa cambia in dettaglio.
Parole pesanti, quelle dei rappresentanti degli Architetti, che non lasciano spazio a fraintendimenti: “Il vero spread che divide l’Italia dal resto d’Europa è l’incolmabile distanza tra la cieca e autoreferenziale giurisprudenza legislativa e la drammatica realtà della nostra vita quotidiana. Aver rimandato, nel Decreto Sblocca Italia, il regolamento edilizio nazionale; non aver posto limiti temporali alla possibilità della Pubblica Amministrazione di revocare un permesso o di cambiare le proprie decisioni; non aver modificato i requisiti di accesso alle gare per i progetti pubblici (che oggi escludono il 99% degli architetti a favore di poche grandi società capitalizzate); non aver varato un vero progetto di rigenerazione urbana sostenibile che mettesse mano agli 8 milioni di edifici italiani che possono cadere alla prima scossa, anche lieve, di terremoto: tutto ciò rappresenta la pietra tombale per un settore, quello dell’edilizia, che ha già perso metà del suo fatturato”.
“L’Italia non è (più) un Paese per architetti”: è la frase icastica che rimbomba nelle orecchie e rimane impressa nelle menti per ciò che riguarda il comparto edilizia nel nostro paese: al di là dello Sblocca Italia o di qualsiasi altro provvedimento approvato o anche solo annunciato. A tal riguardo, il comunicato degli Architetti si concentra in ultima istanza sulla situazione della categoria professionale: “Redditi medi da incapienti, senza peraltro avere alcuna garanzia “sindacale” né cassa integrazione, né bonus statali; debiti con le banche per quasi la metà dei progettisti italiani che nessuno paga, considerato che i giorni necessari per ottenere un pagamento da parte della Pubblica Amministrazione sono oltre 218, quelli da parte delle imprese 172 e, dei privati, 98”. Parole che delineano un quadro nefasto. Che nessuno, nella stanza dei bottoni, (almeno per ora) sembrerebbe avere il coraggio (o la capacità) di cambiare.