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Il vero potere dello spettatore

Creato il 28 ottobre 2014 da Sdemetz @stedem

eventi e spettatori - sensible event managent

Orrore calcio. L’altro ieri in Germania 4000 hooligans hanno manifestato a Colonia contro i musulmani. Cioè: non contro una squadra avversaria, ma contro gente di religione diversa. Una mescolanza di neonazisti e “tifosi” di calcio, una marmaglia di tifoserie che normalmente sono nemiche, si sono unite per marciare insieme, vestite di nero, brutte, violente, distruttive. Si potrebbe obiettare che su 84 milioni di abitanti, 4000 ceffi sono statisticamente irrilevanti.

In Germania la tifoseria violenta – a contrario dell’Italia – è effettivamente molto limitata e lo stadio è diventato un luogo per le famiglie. Ciò nonostante la cronaca non può non registrare un rigurgito di tifoseria violenta. Gli hooligans, per la verità non sono tifosi, questo qui da noi lo sappiamo bene. Non è per nulla il calcio a motivarli. Lo stadio diviene solo il mezzo per esprimere l‘egemonia del più forte. “Loro decidono quali sono le minoranze tollerate e quali no – spiega il politologo Gebhard in questa intervista (in tedesco). – E le società di calcio – aggiunge – stanno rimuovendo il problema”.

Rimuovere o deliberatamente ignorare?

I sociologi Paolo Di Betta e Carlo Amenta hanno descritto lo stadio come uno sfogatoio tacitamente tollerato, non semplicemente ignorato. Meglio baraonde nello spazio delimitato di un anfiteatro che nell’anarchia delle piazze di una città.

Dunque la responsabilità non è solo delle società, ma di una società che preferisce risolvere il problema contenendolo invece che estirpandolo.

Penso al povero Edward Cotton, preside di un college inglese nella seconda metà dell’800 che aveva trovato nel gioco di squadra un modo per governare l’aggressività dei giovani. Penso anche al povero romantico De Coubertin e al suo olimpismo che tutti i mali della gioventù e dei popoli avrebbe dovuto risolvere.

Non solo gli altri sono responsabili

Juliet Jacques, nella rivista “New Humanist” propone una riflessione ancora diversa. Se la sua squadra del cuore – scrive la Jacques – prendesse mai  un “fascist sympathiser like Paolo di Canio” rinuncerebbe all’abbonamento. Ma poi si chiede: O forse no? Questo è certo un punto di vista intrigante: fino a che punto un appassionato di calcio è disposto a rinunciare alla propria passione?  Se chi mette in scena il gioco è corrotto o eticamente discutibile lo spettatore è capace di rinunciare allo spettacolo? Non si tratta di non voler i neonazisti hooligan al proprio fianco, si tratta anche di chiedere al calcio di essere ciò che in quanto sport dovrebbe essere, di scegliere atleti eticamente corretti, di rifiutare presidenti indagati per evasione fiscale e cosi via…

Certo è che se anche in Germania tornano i violenti nello stadio, in un paese che ha investito tanto nel trasformare lo stadio in un tempio dell’intrattenimento, pessimisticamente mi verrebbe da dire che non c’è speranza. Il calcio sopravvivrà nonostante tutto? Probabilmente sì, o perlomeno fintanto che trova clienti/tifosi. Ricordo una scritta letta nella metropolitana di Milano, ai tempi dell’università, sintesi perfetta di un conflitto interiore che sceglie sempre una delle due parti. Era appena nata Forza Italia e la scritta diceva: “Berlusconi merda, però Milan no.”

Il punto è che senza lo spettatore uno spettacolo non esiste. Lo sguardo del pubblico lo rende veramente reale, e nel caso del calcio, veramente commerciabile. E dunque, la responsabilità, non è solo quella dell’attore e del suo impresario, ma pure quella dello spett-attore che dovrebbe scegliere che spettacolo guardare, ma anche da che parte stare.

 Di spettatori e calcio ho già parlato qui:


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