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Forse è veramente ora di cominciare a rifocalizzare le sfide e i problemi che affliggono questo Paese: secondo l’economista dell’Fmi Andrew Tiffin, non è il costo del lavoro, ad azzoppare il sistema produttivo italiano. Ma la scarsa capacità innovativa.
Le nostre imprese sono insomma troppo piccole, per poter crescere ed espandersi sui mercati globali. “L’aumento dei costi dei fattori produttivi in Italia non si è tradotto in un aumento equivalente dei prezzi relativi dei beni, in parte a causa del ruolo delle importazioni a basso costo da Paesi a bassa inflazione“, scrive Tiffin.
C’è insomma necessità di riforme strutturali. Che stimolino la crescita di imprese ad alta innovazione scientifica. Riforme che incoraggino lo sviluppo dimensionale delle nostre aziende, incoraggiando gli investimenti all’estero.
Già a fine marzo Eurostat aveva rivelato -nella sorpresa generale- che il famigerato “costo del lavoro” italiano era sotto la media dell’Eurozona. 28,1 euro l’ora, tre euro meno della Germania, sei euro meno della Francia.
Forse è anche questo il “problema strutturale” del (Bel)Paese: l’individuare sempre falsi ostacoli o zavorre, che tali non sono… per nascondere le vere zavorre. Così facendo, abbiamo perso decenni. Sprofondando in un declino sempre più inevitabile.
Come dire: la colpa è sempre e solo nostra. Diciamolo chiaramente: questo è un Paese che ha paura di guardare in faccia la realtà. Quando lo farà, forse sarà troppo tardi. Ma avrà fatto un considerevole passo avanti.
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