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Il Viaggiatore e la Valigia di cartone

Creato il 08 giugno 2011 da Albino

Stamattina ho dato un’occhiata al sito dell’Economist, e tra un articolo e l’altro mi sono imbattuto in due descrizioni dell’Italia alquanto interessanti.

Il primo articolo cerca di fare un parallelo tra la situazione spagnola e quella italiana, chiedendosi come mai in Spagna siano scoppiate le proteste dei giovani, mentre in Italia non si muova una foglia. La tesi sostenuta e’ che gli italiani sono ormai assuefatti ad una vita di privazioni e di compromessi, in cui la maggior parte della gente sogna il “lavoro sicuro” (ovvero, nel pubblico) e per quelli che non si rassegnano non resta che emigrare.

Nell’articolo numero due si parla appunto dei famosi cervelli in fuga (in f*ga, nel mio caso) italiani. La tesi dell’articolo e’ chiara: l’Italia ha un bilancio netto di emigrazione di laureati, ricercatori e “skilled people” simile a quelli dei paesi poveri. Significa che sono piu’ gli italiani laureati che emigrano rispetto ai laureati stranieri che entrano. Motivi? Sempre i soliti: scarsi investimenti nella ricerca, ma soprattutto un sistema di reclutamento non certo trasparente. Traduco: il laureato britannico, o giapponese, o americano… che minchia volete che vada a fare in Italia? A lavorare a meta’ dei soldi che prenderebbe in patria, avendo a che fare con una burocrazia folle, un sistema di carriera in cui si avanza per dinastia, oppure leccando il culo se si e’ maschi, o a pompini se si e’ femmine? Figurarsi.

Insomma: problemi a valanga secondo l’Economist, che si cimenta nella scoperta dell’acqua tiepida. E come dargli torto. L’Italia, e’ indubbio, sta un passo indietro rispetto alle altre nazioni “ricche”. Proprio ieri ne discutevo via mail con un amico, emigrante pure lui. Mi diceva che quando torna la gente in Italia gli trasmette un senso di immobilita’, come se non avessero ambizioni particolari nella vita. Poi mi ha chiesto “Se dovessi fare mente locale, quanti di quelli che conosci in Italia arrivano a duemila euro al mese?

Ma e’ solo questione di soldi, o di successo lavorativo? E’ per questo che la gente se ne va, come dice lui e come scrive l’Economist? Io credo proprio di no. Ieri sera al pub ho conosciuto un po’ di gente. Inglesi, belgi, francesi: e tutti sono qui non certo per i soldi o il successo lavorativo. Uno di questi fa l’insegnante di lingua, mentre in patria lavorava in un ufficio. Ribadisco: stiamo parlando di uno che aveva un lavoro fisso ed e’ emigrato per ottenere un lavoro ultra-precario. Ma lui, come tutti gli altri, e’ venuto qui perche’ vuole vivere in Giappone, non certo per scappare dalla sua patria. E cosi’ la maggior parte di noi italiani, ne’ piu’ e ne’ meno di loro.

Io vorrei che la si smettesse di dipingere l’emigrante italiano come un povero disperato costretto a lasciare l’amata terra natìa in cerca di fortuna. Siamo seri: non siamo un paese del terzo mondo, non scappiamo certo dalla fame. Lasciare il proprio paese in solitudine e’ un sacrificio piu’ grande rispetto a vivere con ottocento euro al mese. E’ un’incognita piu’ grande rispetto al rinnovo di un contratto da precario. Chi e’ andato via si e’ giocato tutto, e a nessuno piace giocare con la propria vita.

Lo voglio dire una volta per tutte, perche’ e’ una cosa che dev’essere messa in chiaro. Io, e tutti quelli come me, siamo andati via perche’ siamo dei Viaggiatori. Ben vengano soldi e successo; ma se li avessimo avuti anche in Italia, la maggior parte di noi sarebbe andata via lo stesso, prima o poi.

Non dimentichiamo che Colombo e’ dovuto andare all’estero per trovare qualcuno che gli desse un paio di navi per salpare verso le Indie. Non impareremo mai niente dalla storia, noi italiani. Siamo un popolo di santi e navigatori, ricordate?

Ma dipingerci come una massa di disperati che va via perche’ non ha speranze, e’ troppo facile. C’e’ emigrante e emigrante. C’e’ il povero ricercatore o la laureata in lingue, che se ne sono andati perche’ la cattiva Italia non investe nei dottorati in letteratura romanza di nicchia, ma c’e’ anche il Viaggiatore, che poi sarebbero tutti gli altri. Li puoi distinguere da un miglio di distanza, quando li incontri. Uno e’ circondato di italiani, l’altro di stranieri. Uno appena ti incontra inizia a lamentarsi dell’Italia, l’altro ti batte una pacca sulla spalla e ti dice che sei il primo italiano che incontra da mesi. Uno alla terza frase gia’ inizia a sparlare di Berlusconi, l’altro alla seconda gia’ parla di figa. Uno e’ andato via perche’ doveva, vive male e spera (o non vede l’ora) di tornare, mentre l’altro e’ andato via per scelta, per avventura, per sete di conoscenza, o perche’ aveva i cazzi suoi, insomma. Senza nulla togliere all’Economist, o ai problemi dell’Italia, credete a me: il secondo gruppo e’ molto (ma molto) piu’ numeroso del primo. Almeno dieci a uno, secondo me, e forse anche di piu’.

Questo per rispondere un po’ alla domanda sui duemila euro. Ha voglia il governo a offrire agevolazioni fiscali agli emigranti per farli tornare. Certo, magari ti tornano quelli che sono andati via con la lacrimuccia, ma gli altri… altro che duemila, certi se ne sarebbero andati anche se ne avessero presi cinquemila! E d’altronde, hanno forse un prezzo certe esperienze, certe conoscenze? Ha forse un prezzo la liberta’, la vita come uno la vuole vivere?



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