Paolo Ferrara racconta come è iniziata la sua avventura come professionista del fundraising e come, dal Pavarotti & Friends, sia continuata la sua carriera di esperto di marketing e comunicazione grazie a una figura importante che ha incontrato nella sua vita, il suo Mentore
29 anni. Qui in Italia sei un bimbo, almeno professionalmente parlando. Avresti voluto accumulare esperienze professionali, ma te le hanno precluse. Fai un lavoro fantastico, ti dici, hai iniziato a raccogliere fondi per i bambini che vivono in posti lontanissimi e sei contento…però quei bambini non li hai ancora visti. Almeno non quelli inseriti nei progetti per cui fai fundraising e tutto sommato non sei ancora convinto che questo sarà il tuo futuro. Poi un giorno arriva una telefonata. Abbiamo il Pavarotti & Friends. Bisogna organizzare il viaggio, portare in Italia i bambini della scuola d’arte di Siem Reap che balleranno durante il concerto e per cui costruiremo scuole, un centro d’arte, un centro nutrizionale…
Parte Marco, è ovvio, il progetto c’è perché lo ha voluto lui, ci ha creduto lui, lo ha portato in tv lui. Ma chi lo accompagna? “Uno dei progetti”, scatta la responsabile progetti… Beh ci sta penso io… Però come mi piacerebbe essere io il prescelto, parlo anche francese. Che faccio, mi propongo? No, dai, non sei ancora nessuno, penso, cosa ci vai a fare? Rischi solo di essere di intralcio.
“Parte uno del consiglio direttivo”, dice il direttore… Beh, ci sta, penso io, qui c’è bisogno di qualcuno che poi possa relazionarsi ai più alti livelli, che possa raccontare il progetto a Pavarotti a prescindere anche da Marco… Però, come mi piacerebbe poterci andare, non ho fatto di tutto pur di iniziare a fare questo lavoro che da universitario pensavo impossibile? E non l’ho fatto perché mi portavo dentro una grande voglia di attivarmi per i più poveri del mondo, soprattutto i bambini?
Poi sento che arriva una telefonata di Marco. “Ma sentite, ma quei due ragazzi che abbiamo preso, i due fundraiser: ma se vogliamo che raccolgano soldi per i progetti non sarà il caso che ci venga uno di loro con me? C’è la ragazza che mi sembra abbia esperienza, potrebbe venire lei…”. Risponde il direttore: “potrebbe essere una buona idea… Però lei deve sposarsi, non credo abbia tempo e voglia di partire in questo periodo”. E Marco: “be’ allora il ragazzo, Paolo: se la faccia lui questa esperienza. Poi serve anche qualcuno che stia dietro ai bambini in quei giorni… Non serve a molto che ci venga uno del Consiglio Direttivo”…
È iniziato tutto così, quel viaggio l’ho fatto proprio io. E non l’ho fatto come premio. O come una vacanza. L’ho fatto proprio perché ero un fundraiser. L’ho fatto proprio perché il mio lavoro non era un lavoro come un altro, perché il mio lavoro era al servizio di quei bambini e di quel paese. Perché ero un professionista (per quanto in erba) del marketing e della comunicazione, ma applicati a una buona causa e senza questa causa il mio lavoro non aveva un senso… O comunque ne aveva un altro.
È iniziato tutto così: quel viaggio è stato un’esperienza umana meravigliosa. Quei bambini me li porto ancora nel cuore, come mi porto nel cuore tutti i bambini e i ragazzi che ho incontrato in questi 15 anni di lavoro. E da quel giorno, una volta per tutte, ho deciso che avrei fatto il fundraiser e avrei continuato ad occuparmi di diritti dei bambini. Grazie a Marco Scarpati (#ilmiomentore inconsapevole) a quel viaggio straordinario.