Il viaggio della signorina Vila, Rai 5, ore 22,41.
Claudio Magris
È ormai assai corposa la filmografia di Elisabetta Sgarbi, regista a questo punto non per caso, oltre che direttore editoriale della Bompiani, organizzatrice culturale (la Milanesiana), sorella di, e il nome del fratello aggiungetelo voi. Un cinema ibrido e libero il suo che oscilla tra il documentarismo e il saggio per immagini e parole, con parecchie escursioni nella fictionalizzazione, il cui ultimo esempio è quel Per soli uomini sui pescatori del delta del Po proprio adesso su qualche schermo italiano. Il viaggio della signorina Vila, un mediometraggio (poco meno di un’ora) che risale al 2012, si configura come un’esplorazione del mito di Trieste, città di frontiera e di incroci etno-culturali dove l’eredità austroungarica non è mai venuta meno, anche dopo la sua inclusione nell’Italia. Elisabetta Sgarbi parte dal centenario di due libri che l’immagine culturale di Trieste hanno contribuito a edificare, il poco citato Il mio Carso di Scipio Slataper e l’ancor meno conosciuto ma fondamentale e profetico Irredentismo adriatico di Angelo Vivante – per comporre un puzzle di suoni, voci, visioni. Prendendo proprio dal libro di Slataper l’amore del protagonista per Vila, la figlia dei suoi padroni di casa, catapulta i due personaggi nella Trieste di oggi, mentre fuoricampo sentiamo le voci di Toni Servillo e dell’attrice Lucka Pockaj. Nel corso della narrazione si dipanano anche gli incontri con, e gli interventi di, uomini e donne ilustri legati alla città, al suo presente e passato, alle sue memorie. Claudio Magris, of course, ormai sorta di genius loci, e poi Boris Pahor, Gillo Dorfles, Susanna Tamaro, Mauro Covacich, Giorgio Pressburger e altri, molti altri ancora. Tra i meriti di Il viaggio della signorina Vila, quello di riproporre all’attenzione la figura di Angelo Vivante, ebreo triestino che alla vigilia della Grande Guerra scrisse il suo lucidissimo saggio sulle illusioni dell’irredentismo giuliano e dalmata, e sull’oscurità dei nazionalismi che vi stavano sottesi, ribadendo con forza il legame imprescindibile tra la città e l’impero asburgico. Vivante, fervente socialista, non reggerà alla malattia mentale e allo sgomento di fronte alla prima guerra mondiale, e si ucciderà lanciandosi nel luglio del 2015 da una finestra dell’ospedale psichiatrico dov’era ricoverato. Scipio Slataper, l’altro nume evocato da questo film, da fervente irredentista si arruolerà invece volontario e morirà al fronte.