Il viaggio per Marte passa per la Costa Rica. Strano a dirsi, ma è così. Il motore al plasma che porterà l’uomo sul pianeta rosso sta infatti venendo approntato in un laboratorio che sorge nei pressi di Liberia. Crocevia per chi si dirige in Nicaragua o verso le spiagge del Guanacaste, Liberia è stata fino a pochi anni fa terra di allevatori e toreri improvvisati, fino a quando non sono arrivati il turismo ed il jet set hollywoodiano: Tom Cruise, Mel Gibson, Matthew Mc Conaughey, Don Johnson, Kevin Costner, David Hasselhoff atterrano coi loro jet privati e passano il week end a pescare pesci vela prima di ripiombare nel caos e nel glamour di Los Angeles. I gringos hanno comperato terreni per costruirci ville da sogno e le grandi compagnie alberghiere hanno edificato e cementificato, cambiando per sempre il destino di questa terra. I sentieri di terra battuta sono stati asfaltati ed i contadini sono diventati camerieri, bontà della globalizzazione e del turismo facile.
Il futuro è atterrato in Guanacaste, ma non solo in sembianze di gringos in guayabera e stelle del cinema. C’è qualcosa di differente nell’ambiente e la Ad Astra Rocket lo testimonia già solo con il suo nome altisonante, che richiama alla mente razzi e galassie lontane. Il motore al plasma, che dovrebbe portare l’uomo su Marte, viene provato in un laboratorio che sorge nel mezzo di una hacienda che fu di un presidente della repubblica. Passato e presente si intrecciano in Guanacaste, grazie a Franklin Chang Díaz, l’astronauta più esperto che la Nasa ha saputo sfornare negli ultimi venti anni di missioni. Entrato nell’agenzia spaziale statunitense nel 1980, primo di origine ispana, Chang dal 1986 al 2002 è stato sette volte nello spazio con il Discovery, il Columbia (con gli italiani Guidoni e Cheli), l’Atlantis (con il nostro Malerba era responsabile del lancio del satellite Galileo) e l’Endeavour: sessantasei giorni in totale, un record.
Il particolare è che Chang, che oggi ha 61 anni, è nato in Costa Rica. In questo paese ha studiato fino al termine della scuola superiore per poi trasferirsi, grazie ad una borsa di studio, negli Usa. Qui ha studiato ingegneria meccanica e ha ottenuto il dottorato in fisica al MIT, il prestigioso ateneo scientifico del Massachusetts, con gli studi sulle tecnologie di fusione e di propulsione, con enfasi sull’uso del plasma nei motori. Sposato e padre di quattro figlie, nel 1994 ha ottenuto infine la cittadinanza statunitense. La Costa Rica, però, è rimasta nel cuore e Chang, una volta pensionatosi dalla Nasa, ha deciso di costruire il laboratorio che lavora sul motore al plasma proprio in questo paese.
La Ad Astra Rocket è la compagnia che Chang ha costituito con la collaborazione di altre personalità che hanno fatto la storia dell’astronautica. I nomi più rilevanti che si scorrono nella Giunta direttiva sono quelli di George Abbey, ex direttore del Centro spaziale Johnson e pioniere del progetto Apollo, e di Roald Sagdeev, che per quindici anni è stato il direttore dell’Istituto russo per l’investigazione spaziale. Non mancano esperti scienziati come Samuel Ting, Nobel per la fisica nel 1976 e John Young, che camminò sulla Luna durante la spedizione dell’Apollo 16 e che per primo pilotò il Columbia. La compagnia opera anche a Houston, ma è a Liberia che si lavora a tempo completo sul propulsore. Il personale è rigorosamente tico: dieci ingegneri, in totale, ognuno con una propria specializzazione (meccanica, fisica, informatica) usciti dalle università locali e premiati con borse di studio negli Stati Uniti. Su di loro pesa la responsabilità della progettazione del sistema di raffreddamento del motore che rivoluzionerà i viaggi spaziali del futuro.Il motore a plasma ha un nome quasi impossibile da pronunciare: VASIMR, la sigla di Variable Specific Impulse Magnetoplasma Rocket, che tradotto velocemente suona come Razzo di impulso specifico variabile di plasma magnetico. Nome lunghissimo (per questo c’è chi lo abbrevia in VX-200) per un motore che, al vederlo, invece di portarci su Marte sembrerebbe destinato ad un Tir che arranca sulle salite del Gran San Bernardo: un metro e settanta di lunghezza per settanta centimetri di diametro. Poco per chi si immagina la spinta che dovrà esercitare, ma è proprio nelle sue dimensioni e nella sua versatilità che sta la sua capacità. Nello spazio, un centimetro in più è superfluo ed è per questo che gli ultimi ritocchi al motore sono destinati per ridurlo e renderlo il più manovrabile possibile.
Franklin Chang studia la tecnologia dei motori a plasma da un quarto di secolo, da quando poco più che un ragazzo, ha iniziato la sua tesi di dottorato al MIT. Da allora è stato un continuo superarsi, grazie anche all’infinita esperienza acquisita direttamente come astronauta del progetto Columbia. In poche parole, era lui che faceva funzionare gli strumenti più sofisticati della navicella e che serviva il prezioso appoggio per i lavori di manovalanza dei suoi compagni. Lui era l’ingegnere, la mente dietro il pannello della navetta spaziale. Come progettista responsabile della ISS ha avuto il tempo per modificare e mettere in atto i miglioramenti che con gli anni sono stati apportati alla Stazione spaziale internazionale. Il dubbio più grosso, però, riguardava appunto come superare l’impasse generato dai motori, finora insufficienti per portare materialmente l’uomo oltre la Luna.
Finora le missioni spaziali sono state alimentate da motori chimici, senza dubbio potenti nella loro applicazione per staccarsi da terra, ma inefficienti per raggiungere le prossime mete dell’esplorazione. La strada da intraprendere è apparsa quindi quella dei motori elettrici e, di fatto, i satelliti usano già questo tipo di propulsore, che ricerca le fonti di energia all’esterno. Il problema attuale, però, è che i motori elettrici usano elettrodi che si bruciano facilmente, limitandone quindi la durata; inoltre sono alimentati con gas xenon, estremamente caro e dispendioso.“Il VASIMR” spiega Ronald Chang, fratello di Franklin e direttore del centro di Liberia “può usare qualsiasi gas. La sua struttura gli permette questa versatilità. La scelta più economica e sicura, anche in termini ambientali, è quella dell’argon, un gas che si può reperire anche nella bottega sotto casa”. Di fatto, le bombole che servono per le simulazioni sono state acquistate in un deposito sulla strada provinciale, poco fuori delle installazioni.
L’idea di utilizzare il plasma è di per sè semplice. Il nodo era come modificarlo al punto da poterlo usare con fini specifici come quello della propulsione. Franklin Chang ebbe l’intuizione quando stava studiando per il suo dottorato, con i risultati ottenuti dalla fusione termonucleare controllata attraverso il confinamento magnetico. Che è poi quello che succede nei pochi centimetri del serbatoio del VASIMR. Il plasma, che è lo stato ionizzato della materia, raggiunge temperature altissime, fino a un milione di gradi. Il lavoro di Chang è stato quello di riuscire a fissarlo -nello specifico al centro del serbatoio- attraverso la creazione di un campo magnetico. A partire da questo momento, più temperatura si riesce a procurare al plasma, più si aumenta la velocità. Per mantenere una velocità di crociera adeguata, il VX 200 troverà le fonti di cui alimentarsi direttamente nello spazio, attraverso pannelli solari che capteranno e trasmetteranno all’interno del serbatoio l’energia proveniente dal sole.
La potenza generata dal propulsore impressiona. L’efficacia di un motore viene quantificata attraverso una formula, quella dell’impulso specifico (Isp, l’abbreviazione), che indica la velocità mach per i metri al secondo che si percorrono. Gli attuali motori dispongono di un impulso specifico che varia tra i 260 ed i 450 Isp: il motore al plasma raggiungerà i 40.000 Isp, sufficienti per ridurre sensibilmente i tempi di un possibile viaggio a Marte. Calcoli alla mano, per portare le 21 tonnellate metriche necessarie per una missione spaziale su questo pianeta ci sarebbe bisogno di una potenza di 200 mega watt, che ridurrebbe il viaggio sul pianeta rosso a soli trentanove giorni. Si tratta di una rivoluzione di gran peso in quanto a tecnologia spaziale, paragonabile forse al passaggio dalla bicicletta all’auto agli albori del XX secolo o alla messa a punto del primo aereo dei fratelli Wright.
Per mandare un equipaggio su Marte, però, ci sarà bisogno di una base sulla Luna ed è su questo primo progetto che sta lavorando la Nasa. Il motore –che sarà “parcheggiato” su un’orbita- è talmente potente, infatti, che è praticamente inutilizzabile in un tragitto ritenuto breve come quello tra la Terra ed il suo satellite. Gli astronauti del futuro, quindi, dovranno prima andare sulla Luna usando la tecnologia attuale, rifocillarsi nella base che qui sarà costruita, prendere e collegare il motore alla nave e infine ripartire per Marte. Solo in questo momento verrà sfruttato il propulsore a plasma. Il progetto è però legato al budget del Congresso Usa, ultimamente certo non ottimista.
Ma non è solo Marte ad interessare i progettisti del VASIMR. Lo spazio sta diventando meta turistica e da tempo occupa gli interessi di centinaia di compagnie sparse in ogni angolo del mondo. Presto, il tour nello spazio diventerà un’attrazione e satelliti, stazioni spaziali e viaggi orbitali aumenteranno vertiginosamente nei prossimi anni. Il motore a plasma, ricorrendo all’argon, un gas presente nell’atmosfera, si trova a poter usare una fonte d’energia ricaricabile.
“I satelliti hanno un tempo utile di vita e poi rischiano di diventare spazzatura. Restando fissi ad una sola orbita, occupano spazio e non si possono sostituire” prosegue Chang. “Il VASIMR ha le qualità atte per mantenere in vita il satellite, evitando così che l’orbita satellitare si trasformi in una pattumiera che ruota attorno alla Terra”. Intanto, la Ad Astra Rocket ha collocato nel febbraio scorso un’ultima vendita di azioni necessaria per finanziare i lavori. L’investimento è ad alto rischio, ma non è stato difficile trovare chi crede nel felice esito di questa avventura nello spazio.
“Non dobbiamo però attenerci solo al profitto o al costo economico del progetto” continua Chang. “Il motore è un ulteriore passo di sviluppo della conoscenza umana ed un punto di riferimento per la ricerca scientifica in America Latina”. Una filosofia che i fratelli Chang seguono schiettamente, aprendo le porte del laboratorio della Ad Astra Rocket alle scolaresche: il propulsore e gli esperimenti a cui è soggetto sono sotto la vista di tutti. “Bisogna seminare tecnologia e conoscenza” ha ripetuto più volte l’astronauta, perchè solo così si crea una cultura che libera dalle catene del sottosviluppo. Ne è un esempio Jorge Ogilve, l’ingegnere che si incarica della parte meccanica del progetto, che ha seguito le gesta di Franklin sin da quando era un bambino. “Lo seguivo dappertutto” dice. “Ogni volta che veniva in Costa Rica andavo a vederlo e ad ascoltarlo. Ho studiato ingegneria meccanica apposta, per realizzare un sogno. Oggi sono qui, a fare parte della sua squadra: è un’esperienza unica”. Il futuro e Marte sono dietro la porta.