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Il villaggio nero (Pt.1)

Creato il 06 febbraio 2015 da Theobsidianmirror
Il villaggio nero (Pt.1)La più bella scoperta letteraria dell’anno che si è appena concluso, per chi scrive, è stato un autore polacco di narrativa fantastica attivo nei primi anni del Novecento: Stefan Grabiński. E quando dico scoperta, intendo nel senso letterale del termine: prima di imbattermi nel volume “The Dark Domain” della Dedalus Book, casa editrice inglese dal vasto catalogo, non avevo la più pallida idea di chi fosse Grabiński, il “Poe polacco”!Se fossi stato più solerte, avrei scoperto subito che esiste una versione in italiano di questa raccolta, edita dalla Hypnos con il titolo “Il villaggio nero” nel 2012, invece di doverla poi recuperare a posteriori. Che dire? Lo ammetto, non sono mai stato bravo a star dietro alle novità librarie e quindi il volume della Hypnos, a suo tempo, mi era sfuggito. Inoltre, mi piace leggere in inglese… A mia discolpa, devo dire che Grabiński è in effetti semisconosciuto ai più, perché dei numerosi racconti e romanzi, lavori teatrali, versi e poemi che scrisse in vita la quasi totalità non è mai stata tradotta nella nostra lingua. È stata proprio la casa editrice Hypnos, nel 2011, a cominciare a riproporre un paio di suoi racconti (“Nello scompartimento” e “L’Area”), per poi dare alle stampe “Il villaggio nero”. Speriamo che non si tratti dell’ultima tappa di questa riscoperta, sarebbe un vero peccato. Le note biografiche e bibliografiche in mio possesso derivano dalle prefazioni a “The Dark Domain” e “Il villaggio nero”, oltre che dalla solita wikipedia, mentre in rete mi sembra che questi racconti (almeno qui da noi) siano più o meno passati inosservati; credo se ne sia parlato diffusamente solo sul blog Weirdletter (qui), mentre il mondo anglosassone si è dimostrato più ricettivo, ma magari mi sbaglio.
Grabiński nacque nel 1887 e morì nel 1936. La definizione di “Poe polacco” non è mia ed è forse un po’ arbitraria, anche se d’effetto, ma resta il fatto che Grabiński fu l’unico narratore fantastico di quell’epoca nel suo paese. Nonostante questo non godette mai di popolarità finché era in vita e, come molti grandi, finì i suoi giorni in ristrettezze economiche, malato e solo. Recentemente si tende piuttosto ad accostarlo a Lovecraft e ai più famosi scrittori di genere, dimenticando che lo stesso Grabiński riteneva le sue tematiche talmente peculiari da aver coniato una sua personale definizione per descrivere la sua narrativa: “psicofantastica” o “metafantastica”.La prosa di Grabiński in italiano è resa più fruibile da una traduzione più che pregevole, ma già in inglese mi aveva folgorato nonostante il dubbio, mai del tutto fugato, di non averne saputo cogliere tutte le sfaccettature. Formalmente composto, sebbene a tratti intriso di quella particolare vena malinconica tipica di certe produzioni dell’est europeo, il suo stile tradisce una profonda inquietudine esistenziale. Traspare anche la passione, genuina, per gli argomenti trattati. Gli elementi macabri e marcatamente sessuali, che pure ci sono, sono smorzati dalla misuratezza della prosa. I suoi temi sono, senza eccezioni, intellettualmente stimolanti e, nei suoi scritti, l’incredibile immaginazione dell’autore conserva tutti i tratti della verosimiglianza perché riesce a far convivere la scienza con l’occulto, la psicologia e la filosofia con la metafisica. Si potrebbe dire che nella sua prosa si avverte un sostrato di tradizione sotto la modernità e un sostrato di modernità sotto la tradizione.
Il villaggio nero (Pt.1)L’edizione inglese “The Dark Domain” e quella italiana “Il villaggio nero” non sono del tutto equivalenti, e già scorrendo l’indice si nota che, mentre il volume inglese consta di undici racconti, quello italiano è più corposo e ne comprende dodici. Quelli che le due raccolte hanno in comune sono solo sette (Il demone del movimento, Saturnin Sektor, L’Area, Lo sguardo, L’amante di Szamota, La storia del becchino, La vendetta degli Elementali). Quattro sono quelli che compaiono solo nel volume inglese (Fumes, The wandering train, Strabismus, In the compartment) e cinque quelli che compaiono invece solo nel volume italiano (L’engramma di Szatera, La stanza grigia, Il villaggio nero, A casa di Sara, Il bianco lemure). In totale, sono sedici racconti che sono altrettante fiabe nere, una piccola antologia del perturbante che non posso fare altro che consigliarvi caldamente.Nella seconda parte di questo articolo parlerò più diffusamente dei racconti, ma prima di tutto vale la pena spendere qualche parola in più sull’Autore e sulle tematiche e ambientazioni delle sue storie, cominciando dalla sua predilezione per le ferrovie. Grabiński ne era ossessionato e lo prova il fatto che scrisse un’intera raccolta di racconti,“Demon ruchu” (Il demone del movimento), interamente dedicata ai suoi luoghi, persone e oggetti simbolo (la stazione, il treno, i binari, il capostazione, ecc.). Nei suoi racconti i treni sono luoghi fisici ma anche meta-fisici, ovvero treni spettrali o viatico di entità di un’altra dimensione. Nella prospettiva del viaggio, i viaggiatori incarnano il desiderio di evoluzione fisica e spirituale, mentre il personale del treno rappresenta le istituzioni e la natura materiale e ordinata del nostro mondo fisico, con le sue espressioni e le leggi naturali che lo regolano, spesso però frustrati da sogni e convinzioni diametralmente opposti radicati nel profondo. Sui treni e nelle stazioni di Grabiński qualcosa di terribile – o anche solo di molto, molto strano – sta sempre per accadere.
In psicoanalisi il treno indica un desiderio inconscio di cambiamenti (e quindi anche l’avanzamento, il progresso: per esteso, una forza intangibile che può muovere la materia) ma anche, secondo l’interpretazione classica, il desiderio di successo sessuale; mentre in senso metafisico il partire sottintende la morte fisica, e in questa logica il treno diviene un tramite per l’aldilà. Il primo significato richiama certamente il concetto antimaterialistico di “élan vital” (l’esistenza come moto perpetuo, ovvero come “quantità” di moto) elaborato dal filosofo Henry Bergson, che insieme a Friedrich Nietzsche sembra aver esercitato l’influenza maggiore sul Grabiński uomo e scrittore.Ma, aldilà dei tecnicismi, forse dovremmo ringraziare Grabiński per averci restituito la dimensione magica del viaggio in treno, quella che così bene si percepisce nei suoi racconti e che noi invece abbiamo perduto. Ai nostri giorni viaggiare in treno per lunghe distanze non è più così frequente. Il passeggero tipo del treno è il pendolare, che spesso si ritrova a viaggiare (almeno in Italia) su treni sovraffollati, sporchi e in ritardo. Nulla di meno poetico. C’è stata un’epoca, però, in cui il treno ricompattò virtualmente la geografia di interi paesi, collegando finalmente le grandi metropoli agli angoli più sperduti della campagna; un’epoca in cui il treno, con la sua velocità, rappresentava la tecnologia che avanzava, e anche se si era ancora nell’epoca del carbone, probabilmente il combustibile più puzzolente della storia, rappresentava comunque un meraviglioso frutto dell’ingegno umano da venerare quasi come una divinità. Una volta, indipendentemente dalla meta, un viaggio in treno era di per sé un’avventura memorabile.
Il villaggio nero (Pt.1)Con il racconto “Il demone del movimento”, tra l’altro, Grabiński sembrò riprendere quel topos dell'antipatia istintiva per il compagno di viaggio che è il cardine del famoso "sogno di Hollthurn" analizzato da Sigmund Freud nella sua “Interpretazione dei sogni” (1899).
Un’altra cosa che salta all’occhio a proposto di Grabiński è quanto poco ricorra agli stereotipi del fantastico, pur attingendo talvolta agli elementi classici del folclore locale: nelle sue storie non mancano certo fenomeni del trascendente come luoghi infestati, fantasmi e strane creature e presenze (Fumes, L’engramma di Szatera, La stanza grigia, Il bianco lemure…), ma a creare il senso di straniamento e di orrore sono soprattutto le paure irrazionali e le fobie della mente umana, che spesso virano nel patologico creando trabocchetti che si scatenano anche a contatto con gli aspetti più banali del quotidiano (Lo sguardo). Le personalità scisse dei suoi personaggi sono paradigmatiche di un’ampia divisione dicotomica tra raziocinio e follia, sonno e veglia, i cui confini sono spesso molto labili. D’altra parte noi, parafrasando Shakespeare, siamo fatti della stessa materia di cui sono fatti i sogni, e come alcuni sogni sono a tutti gli effetti degli incubi, così dentro di noi bene e male convivono.
Le figure femminili sono sempre, o quasi sempre, negative; ma anche i personaggi maschili, che hanno spesso personalità solitarie e intellettualmente vivaci, tese al cambiamento, e si affidano all’intuito (visioni, premonizioni) per arrivare alla conoscenza, non sono per forza figure positive. Talvolta le loro ossessioni alimentano una psicologia deviata, e anche se dimostrano di avere delle qualità (il senso del dovere e l’amore per il proprio lavoro, la sete di conoscenza, eccetera), e credono tenacemente nel potere trasmutante della mente umana, non necessariamente riescono poi a gestirlo. Sono in fondo dei perdenti: nella maggior parte dei casi finiscono per soccombere a meccanismi al di fuori del proprio controllo, o a realtà che in nessun modo riescono a dominare perché ricolme di strane presenze e deviazioni dall’ordinario che riescono a imporre il proprio capriccio. E così, non mancano racconti che si concludono con un omicidio o un suicidio, e negli altri casi il protagonista finisce comunque per subire qualche tipo di disfatta fisica e/o psicologica. Forse la spia di un inconscio timore dello stesso Grabiński?
È evidente che c’è un legame profondo fra i temi trattati e le personali ossessioni dell’Autore, come pure fra lui e i suoi personaggi, cosa che i suoi biografi e critici non hanno mancato di rilevare. Sarà un caso ma, come molti dei più grandi scrittori, anche lui soffrì di problemi di salute per gran parte della vita: era affetto da una forma di tubercolosi ossea ereditaria e questo, forse per rivalsa, lo spinse a dedicarsi in modo maniacale alla cura dello spirito; possiamo facilmente immaginare che ne agognasse l’immortalità. Dietro l'apparenza di una vita ordinaria e un comune lavoro da insegnante, Grabiński sviluppò una personalità poliedrica tramite lo studio e l’approfondimento di materie che spaziavano dalla psicologia alla psichiatria, dalla scienza all’alchimia, dalle religioni alla filosofia, per arrivare a quelle più attinenti all’occulto (i cui influssi sono ben riconoscibili nella sua prosa). A interessarlo, insomma, era l’esplorazione dell’ignoto, inclusa la dimensione dell’inconscio, nella convinzione nietzschiana che la mente, se opportunamente plasmata, può trasformare la materia, trascendendo i limiti della natura umana.Nelle sue storie sono mostrati diversi piani dell’esistenza i cui confini è possibile valicare in sogno; il sogno, quindi, è visto come precognizione ma anche come dimensione alternativa che può intersecarsi con la vita reale o sostituirsi a essa. Particolarmente importanti, inoltre, sono i concetti di spazio e di tempo, la cui relatività è il nodo centrale di molte storie: il tempo, soprattutto, sembra un’entità viva, materica, che è possibile plasmare e all’occorrenza (come in Saturnin Sektor) anche sopprimere. Tutto questo ha contribuito a conferire alla sua scrittura un fascino e una profondità ineguagliabile, e ci ha regalato storie il cui mistero spesso è da ricercarsi appena sotto il filo della realtà tangibile.
Nella prossima parte di questo articolo, e in quelle seguenti, troverete il mio personale excursus attraverso quelli che, a mio parere, sono i migliori racconti di questa raccolta. Era mia intenzione, ove possibile, di evitare di raccontare troppo delle trame e, soprattutto, di non svelare i finali, ma a conti fatti temo di non esserci riuscito. Riguardando oggi la bozza di ciò che verrà pubblicato nei prossimi giorni, credo di aver detto e fatto intuire anche troppo ed ecco perché se avete intenzione di leggere “Il villaggio nero” vi suggerisco di farlo prima di allora. In ogni caso, buona lettura. CONTINUA
Il villaggio nero (Pt.1)

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