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Il Viminale accelera: via tutti i responsabili

Da Maurizio Lorenzi

 Il Viminale accelera: via tutti i responsabili

 Linea dura del vice premier che punta a dimostrare la propria estraneità. L’indagine sarà chiusa in anticipo

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ROMA – Provare a resistere alzando la posta. È questa la linea scelta dal ministro Angelino Alfano nella giornata che certamente appare più complicata da quando è esplosa la polemica sul rimpatrio della signora Alma Shalabayeva e di sua figlia Alua. Perché di fronte alla mozione di sfiducia e alle richieste incalzanti di Enrico Letta affinché «paghi chi ha sbagliato», il titolare del Viminale ritiene che l’unica strada possibile sia quella di accelerare al massimo la consegna dei risultati dell’indagine affidata al capo della polizia, Alessandro Pansa. Ma soprattutto di decapitare l’intero vertice, arrivando sino alla questura di Roma.

Rischia l’allora «reggente» Alessandro Marangoni e rischia il vice Francesco Cirillo, dal quale dipende l’Interpol. Ma rischiano anche i dirigenti di quegli uffici coinvolti nell’operazione richiesta ufficialmente dall’ambasciatore kazako Andrian Yelemessov, che pur di ottenere l’arresto di Mukhtar Ablyazov si recò personalmente al Viminale. Non a caso il prefetto Alessandro Pansa ha convocato ieri nel suo ufficio i protagonisti di questa storia per mettere a punto ogni dettaglio, ricostruire nei particolari quanto accadde tra il 27 e il 31 maggio scorsi. «La relazione sta arrivando, è questione di ore», conferma la titolare della Farnesina, Emma Bonino. Un dossier che servirà a individuare i passaggi tecnici, ma certamente non risolverà i nodi politici. Perché non potrà rispondere agli interrogativi ancora aperti sulla gestione di vertice dei due ministeri e soprattutto su quanto ė stato fatto dopo che la signora e la sua bambina erano già tornate in patria.

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Lo snodo fondamentale per la ricostruzione della vicenda continua a essere il ruolo del prefetto Giuseppe Procaccini, il capo di gabinetto del ministro Alfano che il 27 maggio incontrò l’ambasciatore e lo indirizzò al responsabile della segreteria del capo della polizia, il prefetto Alessandro Valeri. Fu proprio quest’ultimo a pianificare le ulteriori mosse con il questore Fulvio Della Rocca. L’interrogativo fondamentale continua a rimanere senza risposta: Procaccini informò Alfano di quanto gli era stato chiesto dal diplomatico? Il ministro lo nega categoricamente: «Non mi ha detto nulla». Qualcuno sostiene invece che lo fece, limitandosi a parlare di un latitante da arrestare e specificando di aver già affidato la pratica al Dipartimento di pubblica sicurezza. «Del resto – fanno notare al Viminale – l’ambasciatore aveva chiesto di incontrare proprio Alfano e aveva ripiegato sul capo di gabinetto soltanto quando gli fu detto che il ministro non era disponibile, come è possibile che Procaccini abbia deciso di non relazionare?». Resta il fatto che la rimozione di Procaccini – proprio a totale «copertura» del ministro – viene data per scontata.

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Via l’intero vertice della polizia. Un meccanismo che, a cascata, coinvolgerebbe anche la catena di comando della polizia. Ieri mattina Pansa ha convocato il questore Fulvio Della Rocca, in serata ha ascoltato e verbalizzato il capo dell’ufficio Immigrazione Maurizio Improta. Con entrambi avrebbe messo a punto i dettagli di quanto accadde nei momenti chiave che segnano questa drammatica vicenda: l’irruzione nella villetta di Casal Palocco dove, secondo i kazaki, si nascondeva Ablyazov e l’espulsione di sua moglie e di sua figlia. «La procedura è stata regolare», ha sempre detto Alfano, confortato dagli altri membri di governo. Fino a venerdì scorso, quando Letta ha riunito i ministri interessati a Palazzo Chigi e alla fine si è stati costretti a fare marcia indietro revocando il provvedimento emesso contro la signora. «Ci sono stati errori e i responsabili dovranno pagare», ha affermato il premier subito dopo l’incontro. E sotto processo sono finiti i poliziotti. Il problema che si pone in queste ore è evidente: i capi dei vari uffici della questura hanno eseguito ordini che arrivavano dai vertici del Dipartimento, potevano sottrarsi? E poteva farlo il questore che era stato sollecitato direttamente dalla segreteria del capo della polizia?

Le autorizzazioni all’azione. Ecco perché la linea che potrebbe passare è quella di colpire tutti i funzionari che in quel momento gestivano il Dipartimento e diedero pieno assenso alle due fasi dell’operazione. Prima il blitz effettuato senza svolgere le verifiche sulla reale identità di Ablyazov e dunque senza scoprire che si trattava di un dissidente. E subito dopo l’espulsione della donna, nonostante dovesse essere protetta, e di sua figlia che ha appena 6 anni. Una decisione approvata a tempi di record e conclusa con una modalità vietata: il rimpatrio avvenuto a bordo di un jet privato messo a disposizione dagli stessi kazaki e non su un aereo di linea come invece prevede la procedura. Per capire con quanta fretta si decise di agire basta la denuncia dell’avvocato Riccardo Olivo che afferma: «Mi dissero che avrei potuto incontrare la signora Shalabayeva alle 15 del 31 maggio scorso. Soltanto dopo abbiamo scoperto che alle 13 di quel giorno era già fuori dall’Italia». Tutto questo potrebbe essere addebitato all’allora capo della polizia «reggente» Marangoni, al vice Cirillo, al capo della segreteria Valeri. Alti funzionari che, se si esclude Marangoni, sono comunque a fine carriera.

Articolo del Corriere della Sera del 16 luglio 2013, tratto da www.corriere.it


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