Alla vigilia di Vinitaly 2008, un importante gruppo editoriale italiano uscì in edicola con una copertina che bucò la notizia. “Benvenuti a Velenitaly” si intitolava il servizio, firmato da un giornalista trentino, allora collaboratore de L’Espresso e oggi de Il Fatto Quotidiano. Il reportage, in quei giorni, mise a dura prova la tenuta del sistema vitivinicolo italiano. Il sospetto che il vino italiano potesse essere inquinato da veleni cancerogeni ebbe un effetto di grande impatto sull’opinione pubblica nazionale e internazionale.
Una delle personalità più genuine e autorevoli del mondo del vino, il giornalista Maurizio Gily, scrisse del suo disagio di fronte a quella notizia, sulla rivista, altrettanto autorevole, MilleVigne di cui è direttore. La sua tesi, in sostanza, fu questa: è sbagliato parlare di veleni e di sostanze cancerogene, quando, al contrario, si tratta di adulterazioni tradizionali: ovvero dell’uso truffaldino di mosti arricchiti e annacquati. Che è cosa differente, estremamente differente, dal veleno.
Il noto giornalista trentino cosa fa? Dopo qualche anno, anziché difendersi con penna e tastiera, sceglie la via giudiziaria. E cita in giudizio il direttore di Millevigne. A dicembre il giudice del tribunale di Rovereto condanna Gily ad un risarcimento di 5000 euro a favore del giornalista trentino e alla rifusione di tutte le spese. E lo condanna non per scritto il falso ma per mancata continenza espressiva. E riconosce al giornalista trentino di essere stato leso nell’onore e nella reputazione.
Ciascuno la può pensare come vuole. Questo blog, però, resta allibito di fronte alla scelta di un giornalista di trascinare in tribunale un altro giornalista. E aderisce alla raccolta di fondi per aiutare Maurizio Gily ad arrivare al giudizio di appello, dove si spera, le cose possano andare diversamente da come sono andate a Rovereto.
Donazione a favore di Maurizio Gily
La sentenza roveretana
La cicuta di Velenitaly
Benvenuti a Velenitaly