Nello specifico, durante il XVII secolo vennero creati nuovi vigneti e, fatto davvero importante, si idearono nuove bevande alcoliche derivate dalla distillazione di differenti materie prime.
Il vino, rispetto ai secoli precedenti, divenne più diversificato nell'offerta e migliorato nelle pratiche produttive. Tutto ciò convergeva tuttavia su due fronti produttivi principali: il vino leggero, poco alcolico ma al tempo stesso poco conservabile; il vino forte che durava molto, ma aveva un livello di alcol elevato.
(Hans Weiditz, il controllo delle botti, 1530,
Sammlungen, Monaco)
Se l'unica alternativa fino ad ora era stata la birra, intorno agli inizi del XVIII secolo l'offerta delle tipologie vinicole si fece più ampia. Nonostante infatti agli inizi del XVII secolo si assistette ad un periodo di grande crisi, dovuto a sconvolgimenti di ordine politico e militare (la guerra dei Trent'anni, per esempio), che ebbero ripercussioni a carattere economico anche nel secolo successivo, l'offerta di bevande poste sul mercato aumentò.
Le credenze sui poteri e le caratteristiche benefiche del vino diffusesi e consolidatesi durante il Medioevo durarono secoli. Il brulee (vino molto caldo con spezie ed erbe), molto in voga nel periodo in analisi, era considerato un vero e proprio toccasana, rimedio di numerose patologie che non colpivano solamente l'uomo ma anche il bestiame a cui veniva somministrato secondo necessità.
Potremmo dire che, in particolare durante il Seicento, il vino era agli antipodi dell'acqua: il primo era sicuro, salutare, addirittura benefico; la seconda era considerata sporca, non utilizzabile così com'era perché fonte di malattie che potevano portare anche alla morte. Questa convinzione non è da discriminare o sottovalutare se pensiamo che l'acqua era fortemente inquinata, anche a causa soprattutto della presenza di feci e residui di lavorazione di tipo domestico e manifatturiero, che spesso non la rendevano potabile.
Dalla necessità del non ammalarsi, tuttavia, si originò una vera e propria piaga: tra il XV e il XVIII secolo l'alcolismo conobbe un forte aumento.
Se i costi e le difficoltà di trasporto uniti alla poca capacità di conservazione erano dei veri e propri problemi, con la distillazione tutto ciò venne ovviato dalle nuove bevande, perché era possibile ottenere prodotti più stabili. Inoltre il grande vantaggio dei prodotti di distillazione (vodka, kvass, whisky e gin) derivati dai cereali, è che erano più economici.
Oltre a ciò, si assistette alla creazione di nuovi tipi di vino: lo champagne e il porto sono i due esempi più eclatanti, la loro nascita sconvolse il mercato vinicolo mondiale dei secoli successivi.
La distanza tra lee aree di produzione e quelle di consumo impose ben presto lo sviluppo di una rete complessa di rapporti commerciali, che in molti casi durarono fino al XX secolo.
(raffigurazione seicentesca di una vendemmia)
Nelle logiche di vendita, e considerando le caratteristiche dei vini presenti sul commercio (come si è già detto), prima si riusciva a vendere il vino e meglio era, perché il trasporto e le cattive condizioni di conservazione lo deterioravano molto facilmente. Erano molti gli accorgimenti che gli operatori di settore mettevano in atto per evitare di comprare grosse partite di vino e trovarsi con un prodotto imbevibile o addirittura aceto.
Non bisogna dimenticare tuttavia che i consumatori nel Seicento prediligevano soprattutto vini sciropposi a tendenza dolce; solo a Venezia la moda era contraria, qui si amava l'amaro. Proprio in questa città, quando le osterie erano frequentate da ceti più elevati, prendevano il nome di malvasie, perché si vendevano soprattutto vini di malvasia dell'Epiro.
I meccanismi attraverso cui il vino si trasformava in aceto non erano ancora noti o indagati, anche se in Germania si era dedotto che mettendo il vino in botti più grandi si manteneva più a lungo e i processi di degradazione erano rallentati. I vini dolci, tanto in voga sul mercato, si conservavano più a lungo (anche grazie ad una maggiore percentuale di alcol); i produttori spagnoli stimolati da questa caratteristica svilupparono tecniche, non sempre efficaci, per invecchiare i propri vini aumentandone così la conservabilità.
(vignetta satirica settecentesca)
Il Seicento fu anche il periodo della scoperta del vetro come materiale ideale per la conservazione perché non innescava reazioni di alterazione del prodotto e consentiva di proteggerlo efficacemente dall'ambiente esterno. Questa scoperta fu il punto di innesco per la nascita dei vini d'annata, grandi vini invecchiati. Bisogna ricordar però che non si ebbero effetti positivi solo sulla conservabilità ma anche sul gusto del prodotto, che per mezzo dell'invecchiamento in bottiglia acquistava aromi particolari che il vino conservato in botte di certo non poteva sviluppare, anche a causa della maggiore deperibilità di quest'ultimo.
Questo nuovo materiale era però costoso (almeno all'inizio), per chi non poteva permettersi il vetro il surrogato più conosciuto era un tipo di ceramica vetrificata originaria della Renania. Le bottiglie che si producevano in questo modo ebbero per molto tempo una forma panciuta e sotto l'imboccatura era presente una maschera che rappresentava il cardinale Roberto Bellarmino, figura intransigente della Curia romana; da lui le bottiglie presero il nome di bellarmine.
(Fiasca in maiolica realizzata nella bottega dei Fontana,
Urbino 1560-1570, museo del Vino-Fondazione Lungarotti,
Torgiano, Perugia)
Successivamente in Inghilterra si iniziarono a produrre bottiglie dal vetro più spesso, più economiche, dal colore scuro e dal fondo caratterizzato da una profonda rientranza, che conferiva loro una notevole stabilità. L'unico problema rimasto era come sigillare le bottiglie dato che, durante il Medioevo si perse la conoscenza della pratica romana di sigillare i contenitori per mezzo del sughero; molti affreschi dell'epoca mostrano contenitori tappati da stracci. Il primo paese che adottò i tappi di sughero fu l'Inghilterra nel XVI secolo.
Il vino in bottiglia cambiò anche le regole del mercato: potendo essere venduto anche dopo un anno costringeva a tenere immobilizzati per molti mesi grossi capitali e quindi fare grossi investimenti di denaro.
L'Italia attraversò una fase di declino nel periodo che è in analisi in questo articolo, in particolare dal 1620 al 1740 si conobbe un'epoca di ristagno e declino economico. L'unico settore che si salvava era quello agricolo e di riflesso, quello della produzione del vino, anche se i consumi che avevano raggiunto i picchi durante il Medioevo andarono progressivamente restringendosi. Nonostante ciò il vino era consumato in forme e qualità diverse da tutte le classi sociali.
I veneziani si attivarono per produrre vini dolci, furono così incoraggiati gli impianti di nuovi vigneti in Veneto e la tecnica dell'appassimento dell'uva. Fu così che nacque il Recioto, da vini bianchi e rossi ottenuti dalla vinificazione delle recie, le ali dei grappoli, che vantavano una maggiore concentrazione di zuccheri. A Roma era molto consumato il Sabinese, e i vini di Tuscolo e il Genzano; anche nelle altre aree italiane aumentarono considerevolmente le varietà di vino prodotte.
Nel 1753 attraverso la fondazione Accademia dei Georgofili si poté realmente parlare di interesse scientifico nei confronti delle tecniche di vinificazione e, più in generale, verso la viticoltura. Furono condotti molti esperimenti atti ad indagare i meccanismi di fermentazione, tanto che l'Accademia appena citata, bandì nel 1785-1786 un concorso sulla "Teoria fisica della fermentazione vinosa appoggiata sulla esperienza" che fu vinto da Adamo Fabbroni grazie ai suoi studi. Queste ricerche furono fondamentali per gli esperimenti successivi condotti da Pasteur.
Un notevole salto di qualità venne quindi compiuto nel Settecento anche in Italia, quando venne introdotto il tappo in sughero. Va ricordato però una cosa importante: il commercio dei vini assunse qui delle caratteristiche molto particolari, che nel resto d'Europa furono tipiche del Medioevo.
Non si può non ricordare tuttavia che nel 1785 Antonio Benedetto Carpano mise a punto il Vermouth e a fine del Settecento nacque il marsala grazie al commerciante inglese John Woodhouse.
Nonostante tutto ciò, per assistere ad una perfetta uniformità nella diffusione dei progressi scientifici abbinati alla viticoltura europea bisognerà aspettare l'Ottocento, ma questo sarà oggetto di una successiva analisi.
(Georges de La Tour, Il baro, 1620-1640, Parigi, Louvre)