7 gennaio 2013 di Redazione
di Anna Rita Longo
Antonio Ghislanzoni
Le recenti, scioccanti dichiarazioni di padre Benedict Groeschel – frate francescano piuttosto noto negli Stati Uniti per i suoi libri e i suoi trascorsi televisivi – sul fatto che spesso sarebbero i minori a sedurre i preti e non viceversa hanno fatto inorridire il mondo intero, ma, purtroppo, la tesi non è nuova nell’ambiente. Tra i precedenti più noti si può ricordare il vescovo di Tenerife Bernardo Álvarez che in una vergognosa intervista del 2007 espresse un parere sovrapponibile a quello di Groeschel. Il tutto avviene mentre nel mondo quotidianamente emergono storie sconvolgenti di abusi perpetrati da uomini di chiesa ai danni di minori loro affidati, resi ancor più gravi dalla fiducia che le vittime e le loro famiglie riponevano in figure generalmente considerate tra gli educatori di riferimento per bambini e adolescenti. Fino a quando questi crimini orribili, spesso con conseguenze permanenti sulla psiche di chi li subisce, continueranno ad avvenire resterà importante parlarne, per non dimenticare chi soffre sotto lo sguardo indifferente di una chiesa pressoché inerte. Una riflessione sul tema può venire anche da una lettura datata ma, purtroppo, ancora attuale. Pochi oggi si ricordano di Antonio Ghislanzoni, letterato finissimo, scrittore e poeta, caratterizzato da un’ironia graffiante e da un sense of humour che non risparmia nessuno. Forse i cultori del melodramma ne ricorderanno la nutrita produzione librettistica, all’interno della quale spicca il capolavoro dell’Aida, frutto della sua collaborazione con il cigno di Busseto. Tra le ingiustamente dimenticate opere di Ghislanzoni c’è un opuscoletto dall’eloquente titolo “Libro proibito” (pubblicato nel 1878), una raccolta di epigrammi e riflessioni in versi e in prosa, scritto intingendo la penna nel calamaio di Marziale. Tra le righe del “Libro proibito” – così chiamato perché non risparmia critiche a nessuna delle idee e delle istituzioni considerate sacre dalla società – è possibile trovare delle considerazioni che brillano per la loro attualità. Prendiamo, ad esempio, lo scandalo della pedofilia nella gerarchia ecclesiastica, male endemico nella chiesa di Roma, che Carla Corsetti, autrice del libro “Perché i preti sono pedofili” (Tempesta editore) ha definito addirittura strutturale. È parere comune presso gli apologeti del Vaticano (tra i tanti ricordiamo il nome di Antonio Socci) che negli ultimi anni sia in atto un’operazione di sistematica demolizione dell’istituzione chiesa, nutrita di odio e critiche feroci. Di questa “perversa” operazione anticattolica farebbe parte l’insistere sul tema della pedofilia nella chiesa, che, secondo i filocattolici sarebbe un fenomeno circoscritto e da imputare alla crisi dei valori cristiani verificatisi negli ultimi anni. Eppure pare proprio che non sia così, come il “Libro proibito” ci testimonia. La pedofilia di matrice ecclesiastica è una vecchia piaga delle stanze vaticane, che continua ancor oggi a rovinare la vita di tanti ragazzi. Costretto da bambino a entrare in seminario, Ghislanzoni conosceva l’ambiente ecclesiastico di prima mano e questa era, a suo dire, la causa del suo anticlericalismo. Proprio nel “Libro proibito” vediamo più di una volta sottolineato il legame tra chiesa e pedofilia. Chiarissimo l’epigramma dal titolo “Don Natale”: «In Dio non crede, / In nulla ha fede, / pur, don Natale / è clericale. / Che mai lo lega / alla congrèga / turpe e nefasta? / —È pederasta. Nelle note esplicative all’epigramma l’autore chiarisce il proprio pensiero: «La pederastia è vizio da preti, da sagrestani e da paolotti. I pellegrini cattolici, accorsi a Roma dal 1872 al 1876 per ossequiare Pio IX, non sempre seppero contenersi dal dimostrare le loro inclinazioni anormali. Il vecchio partito legittimista, composto di clericali ammorbati di lussuria, celebrava recentemente in Parigi delle orgie nefande, parodiando i sacri riti. I semi del brutto vizio si spargono nel mondo da un luogo che appunto per questo fu denominato seminario. Pedagoghi o cappellani lo insinuano nelle grandi famiglie che patteggiano per la monarchia di diritto divino. Non è delicato metter in luce tali brutture, ma è peggio commetterle.» Con un coraggio sorprendente in un uomo del suo tempo, vediamo come l’autore non mostri incertezze nell’imputare al clero cattolico gravissimi atti di violenza verso i fanciulli che venivano affidati ai seminari. Un altro epigramma, dal titolo “Scandali clericali” avrà fatto probabilmente inorridire i benpensanti, per il contenuto ironicamente esplicito: «Nei collegi governati / dai famosi Ignorantelli / gravi scandali son nati, / ne è mestier ch’io ne favelli. / Se alle falde del Cenisio / si applicassero costoro, / senza spese e senza macchine / compirebbesi il traforo.» Il riferimento storico è chiarito dalla nota esplicativa, che ricorda «le scandalose intraprese del padre Theöger direttore di un collegio di ignorantelli; le prodezze altrettanto laide che valsero al Padre Ceresa un processo ed una grave condanna, o i frequenti casi congeneri che si sviluppano ogni giorno da altri istituti maschili governati dai molto reverendi». Ghislanzoni fa qui riferimento alla condanna, avvenuta nel 1863, di padre Theoger, direttore del convitto degli Ignorantelli di Torino, e di altri quattro padri per le violenze perpetrate contro i fanciulli del proprio istituto. Viene anche nominato padre Ceresa, rettore del collegio di Monza, condannato nel 1873 per simili reati: l’episodio ebbe grande risonanza perché gli ospiti del collegio del Ceresa appartenevano a famiglie abbienti e molto in vista. Ghislanzoni, pur chiarendo che si tratta solo di alcuni tra i molti casi simili, non fa riferimento ad altri episodi. Ne cita, invece, diversi altri lo storico Carlo Boriglione, che nel 1867 indirizzava a Pio IX un’accorata lettera dal titolo “Una tremenda pagina di storia ed un buon consiglio al Papa”, nella quale enumerava tutte le contraddizioni e le storture della chiesa del suo tempo. Tra gli ecclesiastici pedofili di quegli anni, oltre a padre Theoger, Boriglione cita «il canonico Domenico Zampella, rettore e professore di teologia morale nel seminario di Caserta, da oltre un anno resosi colpevole di nefande immoralità», il cappellano Giovanni Nanni condannato dal tribunale circondariale di Bologna «per aver eccitato alla corruzione dei giovani, uno minore di anni 15, e per oltraggio al pudore di varie donzelle», don Luigi Granata condannato dal tribunale circondariale di Monza «per delitto di scandalo e di sodomia» e i «R. R. Padri della città di Cento, provincia di Ferrara» rei «della medesima infamia, dell’identica brutalità». Che cosa ha fatto Pio IX, nel 2000 proclamato beato, per risarcire moralmente le vittime di queste violenze? Quali provvedimenti concreti ha messo in opera per impedire il reiterarsi di episodi vergognosi e causa di immani sofferenze per chi li subisce? In estrema sintesi, ma senza tema di sbagliare, si può rispondere che non ha fatto nulla. E, come la storia contemporanea insegna, i suoi degni successori non si sono preoccupati di fare molto di più.