«The Washington Post» ha lanciato da ieri una piattaforma di crowdsourcing per i lettori.
Crowd Sourced, questo il nome dell’iniziativa del quotidiano statunitense, spiegano dalle colonne del giornale, fa interagire i giornalisti con i lettori sui temi proposti dai primi. I lettori saranno in grado, oltre che di fornire il loro contributo, di votare le migliore idee costruendo così un sistema premiante per le risposte, per i contributi di maggior valore.
Al momento sono due i temi proposti: uno relativo all’innovazione ed alla competitività del Paese, ed un altro sul ruolo dei social media nella comunicazione politica. Assicurano al giornale che altri temi verranno introdotti a breve. La tecnologia utilizzata per realizzazione della piattaforma è la stessa di Trove, l’aggregatore personalizzabile di notizie sempre del giornale.
L’iniziativa è sicuramente interessante, testimonia l’evoluzione dell’ecosistema dell’informazione e conferma la ricchezza di richieste di opinioni, consigli e la proposizione di tematiche incentivanti la partecipazione costruttiva del lettore sancita, anche, dalla desk research sulle capacità strategiche di relazione su Facebook dei principali giornali quotidiani in sei nazioni diverse che assegnava proprio al «The Washington Post» la palma d’oro per la miglior strategia di relazione.
Dimostra inoltre la necessità di stabilire una relazione, di coinvolgere le persone sul proprio sito e non altrove, a cominciare da Facebook, poichè attualmente è questo l’unico modo per monetizzare tale relazione.
Vi sono però una serie di aspetti, di dettagli non trascurabili, che, volendo essere costruttivo, sono da migliorare.
In primis, il processo continua ad essere “top down” con i giornalisti ed il giornale a definire l’agenda setting. Un processo di co-creazione e di coinvolgimento del pubblico di riferimento deve partire sin dalla prima fase, dalla definizione dei temi di interesse ai quali si intende partecipare, per essere realmente tale. Non è solo una questione di forma ma di sostanza, di efficacia nel processo di coinvolgimento delle persone. Non a caso, al momento della redazione di questo articolo, i due spunti forniti raccolgono complessivamente solamente sei commenti, tra l’altro di scarso valore a mio avviso.
L’altro aspetto che si continua ostinatamente a non considerare [pour cause?] è che alla co-creazione deve essere associata una forma di co-remunerazione, di revenue sharing. Se l’impresa trae profitto, direttamente o indirettamente, dai contributi forniti è giusto che riconosca una parte del valore creato a chi lo ha di fatto generato.
Infine si tratta di avere l’abilità di attrarre le persone più talentuose, più qualificate ed esperte sulle tematiche da sviluppare così da creare interesse e coinvolgimento da parte dei lettori. Senza questa capacità ed attenzione ogni iniziativa è destinata al fallimento.
Si sa che in uno scenario competitivo la differenza è fatta dai dettagli, mi è sembrato doverso ricordarli in sintesi.