il west lento che non t'aspetti...

Creato il 26 maggio 2015 da Omar
l'ormai lanciatissimo Michael Fassbender lo ha voluto a tal punto da decidersi a produrlo in prima persona, questo bel lungometraggio che risponde al titolo di Slow West, un western decisamente atipico capace di mescolare con tatto e sensibilità europea scarti di crudezza pulp, venti di surrealtà, un po' di sano romanticismo, un pizzico di nonsense e qualche sincero sprazzo di poesia.
Scritto e diretto dal giovane John Maclean, con cui l'attore protagonista aveva già collaborato a un intrigante short movie girato per intero con il telefonino intitolato Man on a motorcycle, vincendo il BAFTA nella categoria, Slow West è stato girato nel 2013 tra la Nuova Zelanda e la Scozia, e narra le vicende di un giovane aristocratico delle Highland che affronta i pericoli di un lungo viaggio attraverso la frontiera americana per andare a ritrovare la bella fidanzata (una deliziosa Caren Pistorius, faccino regolare e tanta verve da vendere). In un clima di feroce violenza e nel bel mezzo della guerra di secessione, solamente l’intervento di un misterioso e pericoloso viandante di nome Silas (Michael Fassbender) riuscirà ad aiutarlo a portare a compimento la sua missione.Ambientato sul finire del XIX° secolo in Colorado, la storia è tutta incentrata sull'epica ricerca dell'amore di questo candido giunto avventurosamente dal vecchio continente (interpretato con plausibile piglio smarrito da Kodi Smit-McPhee), ma a tirar le fila della pellicola è in realtà il personaggio del fuorilegge senza scrupoli impersonato da Fassbender. Nei panni di Silas Selleck,  misterioso e imperscrutabile sicario, protettore per caso - e a pagamento - del sedicenne aristocratico Jay Cavendish, porta lo spettatore a partecipare allo sguardo ingenuo e contemplativo con cui costui, novello Romeo, guarda il Nuovo Mondo e le sue tremende contraddizioni sinché, ribaltando buona parte dei cliché del genere, sarà proprio il giovane sprovveduto a salvare il coriaceo fuorilegge da una vita di morte a ripetizione. In alcune interviste il regista ha dichiarato di aver pagato con questo film  - come da manuale - la dovuta serie di omaggi ai grandi maestri, ma tra la polvere di Sergio Leone e la crudezza biblica di John Ford ammette di essersi lasciato influenzare soprattutto dal cinico disincanto di Sam Peckinpah, in particolare da La ballata di Cable Hogue e dal suo modo personalissimo di trattare la violenza: l’indugiare della cinepresa sulla cattiveria insita nella realtà non già compiacendosi dell'efferatezza di cui sono capaci gli uomini ma esprimendo una critica attraverso il dolore che essa ingenera (o per lo meno dovrebbe ingenerare) in chi guarda.Davvero toccanti poi alcuni momenti di interazione con la natura e anche qui l'intento può dirsi sostanzialmente un successo poiché oltre all’azione, agli spari, al sangue e ai gringos collaterali (questi ultimi molto ben caratterizzati), l'opera è pervasa da un costante tentativo di percorrere anche i sentieri emotivi dello spettatore. Lodevole allora il lavoro della fotografia che senza mai offrire spunti oleografici e patinati, svela scenari di rara bellezza che si scontrano con la bassezza del genere umano: il cobalto del cielo in coppia con il giallo brillante del grano, il viola della lavanda colora e rallegra lo schermo, il profilo delle montagne lontane richiama un mondo mitico e ferino. Molto bello, niente di nuovo sotto il sole forse, ma gestito con l'abilità e il gusto necessari. Otto più.

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