Ilaria Alpi, 20 marzo 1994

Da Abattoir

Di Rosita Baiamonte

Ventate di polvere sul viso, polvere rossa, sabbiosa, polvere di Somalia. Per proteggersi, Ilaria indossava un foulard, un paio di occhialoni, i soliti, quelli che metteva per le dirette al tg3, i capelli legati, il viso senza trucco.

Quella mattina, la mattina del 20 marzo 1994, Ilaria si era alzata di buon mattino, aveva sistemato la sua sacca da lavoro: un cambio, un taccuino, una penna. Non si era neanche guardata allo specchio, aveva inforcato i grandi occhiali da sole e via sulla strada. Miran la stava già aspettando con la sua telecamera a spalla, un breve scambio di saluti, e poi sulla jeep incontro al loro destino.

Un destino tragico a dire il vero, perché appena fuori da Mogadiscio, un commando fa fuoco sulla jeep. Miran viene finito con un colpo, Ilaria, sul sedile posteriore, non ha avuto neanche il tempo di dire le sue ultime preghiere: due colpi l’hanno attraversata da parte a parte. Di lei rimase solo un corpo riverso sul sedile, la faccia sporca di sangue, i capelli sparsi, il foulard ridotto in brandelli.

Era una grande giornalista Ilaria Alpi, di quelle che ti vien voglia di abbracciare quando le vedi sullo schermo, con quell’aria fragile, indifesa. Chi l’ha conosciuta la descrive come una donna piena di coraggio, piccola, esile, ma coraggiosa. Inviata di guerra per il tg3, donna in un ambiente maschile (solo la Fallaci era riuscita a espugnare il binomio guerra-uomo).

Per il suo lavoro aveva rinunciato a tutto, famiglia, soldi, figli, tutto veniva dopo il suo lavoro, per questo passava le notti in bianco alla sala montaggi cercando di dare un ordine alla miriade di “girato”: meticolosa, precisa, appassionata.

La Somalia l’accolse col calore tipico delle terre africane, solo qualche giorno prima soffriva il freddo di Belgrado. Fu lì che incontrò l’operatore freelance Miran Hrovatin, il quale colse al volo l’occasione di fuggire dal freddo di Belgrado, anzi, pensò: “quasi quasi sarà come una vacanza”( cfr “la storia siamo noi” http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/puntata.aspx?id=305).

Non era la prima volta per Ilaria, era già stata inviata in Somalia nel 1992 in occasione della guerra fra clan che aveva spinto l’esercito statunitense a sbarcare sulle coste somali, la solita finta Missione di pace.

L’ultima volta in Somalia, Ilaria cominciò a darsi subito da fare,la situazione era caldissima a Mogadiscio: la guerra civile imperversava ormai da anni. Il dovere di cronaca, dovere a quale nessun giornalista può tirarsi indietro, la spingeva ad andare sempre più in profondità, in suoi sforzi erano tutti diretti alla comprensione degli eventi; era anche il suo modo di lavorare, addentrarsi laddove la merda volava alta. Ogni diretta era come lanciare una bomba ad orologeria. Roba che scottava.

Aveva scoperto delle cose che avrebbero dovuto rimanere sotto silenzio, sì, per un’altra che non fosse Ilaria, ma lei no, lei doveva andare a fondo a quella storia, storiaccia di traffici d’armi e di rifiuti tossici illegali in cui erano coinvolti anche l’esercito ed altre istituzioni italiane. Roba che scottava.

Quando venne uccisa, quella maledetta mattina, i sicari portarono via tutto, taccuino, appunti, fogli. Rimasero solo le registrazioni di Miran, ma nel trasporto delle salme dalla Somalia all’Italia, sparirono anche quelle. Roba che scottava.

Venne istituita una commissione parlamentare d’inchiesta, presieduta –udite, udite- da Carlo Taormina, meglio noto come legale di Berlusconi e di Anna Maria Franzoni, uno che con le parole ci sa fare, un imbonitore per un pubblico sordo e cieco, al quale ha propinato una verità di comodo, ma che fa a cazzotti con la realtà dei fatti: “i due giornalisti nulla hanno mai saputo e in Somalia passarono una settimana di vacanze conclusasi tragicamente”. Parole che colpiscono più di una scarica di mitra. Uccisi due volte.

Ancora oggi il perché di quella morte è un mistero, si parla di supposizioni, ma nulla di certo, quel che è certo è che non si è trattato di una banale rapina, come si è cercato di far credere, qualcuno ha voluto farli tacere per sempre, perché quello che avevano scoperto poteva far saltare molte teste.

Si è tentato di insabbiare tutto, c’è chi ha persino parlato di una storia clandestina fra i due, una fuga d’amore( in Somalia, in piena guerra civile!!!!), fango su fango.

La verità giace lì su quei taccuini e su quelle registrazioni, opportunamente rimosse.

Di Ilaria ci rimane il suo sorriso dolce, rassicurante, i suoi capelli sempre legati, quegli occhiali, quel viso struccato.

Ci rimane l’esempio di una donna morta perché ha voluto cercare la verità, il suo sacrificio da un lato mi fa male, dall’altro mi spinge sempre a cercare sempre la verità, laddove si nasconde.

(Per approfondimenti, consiglio la visione del reportage di: “la storia siamo noi” http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/puntata.aspx?id=305)


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