Illuminato parere su vini e libri

Creato il 16 agosto 2013 da Annalife @Annalisa

Hemingway ha vinto la prima edizione del premio bancarella con “Il vecchio e il mare”

Leggere un sacco di libri non significa capirne. E questo lo sto dicendo per me, chiaro.
Perciò, io leggo una marea di libri, ma potrei anche non capirne niente. Insomma, come se Ramsey non capisse niente dei piatti fatti dagli altri, si parva licet (e se parlo di Ramsey io che non guardo tivù, potete immaginare che razza di programmazione televisiva ci possa essere attualmente).
Comunque, facciamo che sia come col vino: a furia di assaggiarne, si dovrebbe riuscire a comprendere perché un vino è più ben fatto di un altro, si dovrebbe capire quali sono il sapore, il livello di sapidità, l’acidità e così via. Certo, ognuno ha i suoi gusti personali, e anche tra gli esperti vi sono differenze di opinioni sulle qualità di una determinata annata o sul bouquet di un vino invecchiato; tuttavia, si cerca di stabilire un metro di giudizio, un parametro e un linguaggio condivisi da tutti per la stima del valore di un vino. E se io andassi a un tavolo di sommelier per dire loro che un Tavernello in scatola di cartone merita più di un Petit Rouge della Valle d’Aosta, credo che i suddetti sommelier mi tirerebbero addosso una botte per seppellirmi. E tutti i buoni bevitori di vino (Petit Rouge o Barbera o Grignolo che sia) lì ad applaudire il seppellimento dell’ignorante (io).
Ma, domando, se fosse un sommelier a dire quella cosa brutta?
Cioè uno che se ne dovrebbe intendere, di vini.
E qui lasciamo la metafora e torniamo ai libri.
Mi trovo di fronte alla sestina del Bancarella (assegnato il 21 luglio scorso): già potrei cominciare a domandarmi come siamo passati da “Il vecchio e il mare” a “Ti prego lasciati odiare”, ma, vabbè, diciamo che di Hemingway ne nasce uno ogni secolo e in questo secolo non è ancora nato (oppure va alla scuola media e nessuno lo conosce, ancora). Allora andiamo avanti, e scopriamo che in un anno, i sei libri che hanno venduto di più sono quelli. Ora tocca ai librai. Duecento librai che, tra i libri comprati (Tavernello, Grignolo, Petit Rouge o “lavastomaco”) indirizzeranno i lettori, educheranno, cioè condurranno con il loro consiglio verso un affinamento del gusto o un appagamento del palato.
Ed essi lo fanno. Scelgono. Tra i sei più acquistati durante l’anno, scelgono il meglio e gli danno un premio. Il Premio Bancarella, appunto.
Ora, per criticare davvero la loro (dei librai) scelta, dovrei aver letto tutti e sei i volumi. Confesso: non l’ho fatto.
Di uno (Implosion) ho letto la presentazione: “Non è affatto un giorno come un altro. Il destino ha premuto il tasto on. Le loro vite stanno per cambiare in modo definitivo. Quando Katherine Evans incontra Armand non sa che dietro quelle sembianze da bello e dannato si cela uno dei più potenti Generali dell’Antica Stirpe. Non può immaginare che sarà proprio lui la sua salvezza… o la sua rovina, né può conoscere il suo vero piano: crudele, spietato, oscuro come le tenebre. Un paranormal venato di fantasy in cui gli eventi si susseguono con i ritmi del thriller. Una verità agghiacciante sta per essere svelata. Nessuno è più al sicuro, i protagonisti stanno per essere soffocati dalle loro stesse esistenze. Ognuno di loro nasconde un segreto, nessuno può permettersi di fallire. Una sola certezza: quando supera se stesso, l’amore può uccidere.”
Diciamo che al “bello e dannato” ho deciso che non lo avrei acquistato.
Un altro (“Il bambino con la fionda”) l’ho acquistato ma non l’ho ancora letto, perché di nazismo, bambini, orrore, arresti e così via per ora ne ho abbastanza; mi ci metterò più avanti.
Il terzo mi attira (perché è “Il profumo delle bugie”, dell’autore che ha fatto nascere Bacci Pagano), ma, anche lì, di saghe famigliari ne ho avuto per un po’, adesso faccio pausa.
Del quarto (un romanzone storico di una casa editrice che non avevo mai sentito) mi stupisce il fatto che abbia venduto così tanto da entrare nella rosa dei papabili: non sto facendo una questione di contenuto o stile, eccetera, ma proprio il fatto che evidentemente esiste tutto un mercato nascosto ma fiorentissimo, che non si nota nei soscialnetuorc, nei commenti, nelle interviste, eccetera. Ma c’è. Perciò: finalista.
Avanzano gli ultimi due: uno l’ho letto perché di de Giovanni ormai leggo tutto, vado sul sicuro. Non sto dicendo che siano libri perfetti: intanto sono di genere: a uno non piacciono i gialli, sbàm, è già tagliato fuori. Poi… Ecco, poi basta, altri difetti non gliene trovo. Forse uno: che, dopo averci abituato alla serie del commissario Ricciardi (prima Fandango, poi Einaudi), nella serie inaugurata appositamente per l’Einaudi il nostro ha esordito sottotono, con protagonisti un tantino monolitici e una trama non così complessa come ci aveva abituato il commissario Ricciardi (ma, anche qui: il secondo romanzo per l’Einaudi è già molto meglio). Capisco che non a tutti possano piacere, e ho letto taglientissimi commenti anche su scrittura, trama, e così via. Tuttavia, “Vipera” è un buon libro, ben scritto e piacevole. Non stupisce che, dopo le precedenti puntate, molti si siano precipitati ad acquistarlo.
Così come non stupisce che molti (molte?) abbiano acquistato “Ti prego lasciati odiare” della signora Anna Premoli, bancaria, scrittrice per combattere lo stress. Io non l’ho letto. Cioè, ne ho letto un pezzo, regalato con qualche magazine (sapete, quegli estratti che ti mettono ovunque con le prime pagine del libro?). Ora, io confesso che ho letto, ai tempi, un sacco di Harmony. Che, un bel gradino più su, ho letto tutta Constance Heaven (la saga dei Kuragin è sempre nel mio cuore), e anche Georgette Heyer nella sua versione romantica. Ho persino letto Sophie Kinsella, ora che ci penso. Ora, mi sarei stupita se Georgette Heyer avesse vinto il Bancarella? No, affato.
E se lo avesse vinto Constance Heaven? Forse un pochino, ma proprio poco.
Mi sarei stupita se Sophie Kinsella lo avesse vinto? Ebbene, sì, perché un conto sono i lettori che acquistano, un conto sono i librai che scelgono. Ma i nostri librai 2013 hanno scelto Anna Premoli.
“Sto correndo come una pazza per le strade di Londra perché, per la prima volta in quasi nove anni di onorata carriere, sono in clamoroso ritardo. Io, dipendente perfetta e capo team della migliore squadra di cervelli di consulenza fiscale di tutta la banca…”
“E così alla fine mi giro a tutti gli effetti verso Ian, che mi guarda come un cacciatore che sta per sparare sulla preda. Un ciuffo ribelle di capelli nerissimi gli cade sbarazzino sulla fronte.”
E siamo a pagina 7.
Ora, diciamolo: è perché sapete già che Jenny e Ian finiranno per coronare il loro sogno d’amore anche se si odiano? Naaa… C’è qualcuno che dice che a pagina 24 di “Vipera” aveva già capito chi fosse il colpevole.
Allora è perché voi siete repubblicani e il fatto che Ian sia nipote del duca di Revington e lord Beverly sia figlio di un marchese fa bollire il vostro sangue democratico?
O perché Ian ha evitato di pugnalare Jenny alle spalle solo “perché ha in mente un piano più diabolico”?
Oppure perché l’autrice ambienta a Londra un romanzo e l’indicazione più precisa che ci dà è “sulla riva sud del Tamigi”?
No, no, e no.
Voi vi stupite perché il libro è sciatto, scritto male (ho rivalutato molti dei miei alunni di prima media), e anche se uno volesse goderselo per quello che è (un Harmony un po’ bruttino), ogni volta che gira pagina pensa ai duecento librai che hanno operato una scelta “non dettata dagli input della pubblicità, ma dal ruolo del libraio che propone, indirizza e aiuta a soddisfare i bisogni dei lettori”.
Cari librai del Bancarella, ho preso nota dei vostri indirizzi. Tanto per cercare di evitarvi. Altro che sommelier intenditori. Voi i libri volete soltanto venderli. Poi non dite che non veniamo più nelle librerie dove possiamo trovare qualcuno che ben ci consigli, eh!

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