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Woody Allen, 2010 (Usa, Spagna), 98' uscita italiana: 3 dicembre 2010 voto su C.C.
Helena (Gemma Jones), in preda alla disperazione, si convince ad accettare i consigli di amici e parenti affidandosi alle cure di una improbabile cialtrona che sostiene di avere capacità divinatorie (Pauline Collins). In effetti, i problemi da risolvere sono tanti e variegati: l'ormai ex marito (Anthony Hopkins), colto da crisi di terza età, s'è risposato con una vistosa escort (Lucy Punch) mentre la figlia (Naomi Watts) è infelice a causa del fallimentare matrimonio con Roy (Josh Brolin), un laureato in medicina (rigorosamente non praticante) convinto di avere innegabile talento da scrittore. Come non bastasse, figlia e genero sono entrambi a loro volta infatuati di altri due infelicemente accasati (Antonio Banderas, Freida Pinto). Insomma, gli ingredienti per un intreccio alleniano ci sono tutti.
Da qualche anno il gracile Woody Allen è diventato artisticamente omologo a quello Zelig che fu protagonista di un suo memorabile masterpiece: è in grado di mutar forma stilistica, assecondando le velleità e le convinzioni del momento. Dopo aver vestito i panni appesantiti dall'introspezione d'ispirazione svedese (Bergman) alla fine degli anni ottanta, l'Allen europeo d'inizio millennio (Match Point) aveva addirittura riportato alla mente, per cifra e complessità nell'interpretazione del genere, un maestro del genere come Hitchcock; adesso, nella sua ultima fatica, il cineasta newyorkese ritorna invece all'atmosfera di Mariti e mogli (sicuramente con minor successo), dove a rivelarsi è la vocazione che ha radici nel Cinema di Altman – notevoli le sequenze nelle quali la camera insegue i personaggi, intenti in accesissime discussioni tra una stanza e l'altra di piccoli appartamenti. Nei due decenni compresi tra queste varie “mutazioni” c'è anche stata una quantità notevole di opere non all'altezza, e ciò ha portato molti seguaci del prolifico Allen a vivere con sempre maggior pregiudizio ciascuna delle pellicole di recente produzione; rimpiangere con nostalgia i tempi di Manhattan e Annie Hall è comprensibile, ma lo è meno bollare con intransigenza ognuna delle ultime idee nate dalla mente di quel minuto genio, ormai sulla strada verso gli ottanta anni. In You Will Meet a Tall Dark Stranger possiamo trovare l'ennesima proposizione delle tematiche che sono parte integrante del “decalogo” alleniano, declinate però con rinata verve, impreziosite da esperienza e, persino, da un po' di saggezza – oltre che da un cast di prim'ordine; ognuno dei personaggi tenta di cambiare la propria vita, in meglio, idealizzando l'incontro con l'ignoto (un misterioso sconosciuto, un nuovo lavoro, un'avventura rigenerante) ma finisce col trovarsi, alla fine, con meno di quanto aveva in partenza. L'unica a salvarsi dall'ecatombe è proprio Helena, che vive in una realtà tutta sua, nella quale può “respirare” illusioni: questo è il messaggio che Allen prova a proporre, scimmiottando Shakespeare. È lo stesso di sempre? forse si; ci ha annoiato? certamente no.
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