La magistratura avvia procedimenti tampone che possono pure destare qualche perplessità: l’ultimo provvedimento ha visto i giudici nominare Bruno Ferrante, presidente dell’Ilva, custode e amministratore delle aree e degli impianti sotto sequestro e al posto del commercialista nominato dal Gip per i compiti amministrativi. Dunque il padrone della fabbrica, che in questi anni ha fatto poco o nulla per la rigenerazione dello stabilimento, dovrà controllare la sua messa in sicurezza. Controllore e controllato coincidono.
Le ultime notizie sono queste: “Il tribunale ha disposto che «I custodi garantiscano la sicurezza degli impianti e li utilizzino in funzione della realizzazione di tutte le misure tecniche necessarie per eliminare le situazioni di pericolo e della attuazione di un sistema di monitoraggio in continuo delle emissioni inquinanti».
Secondo Vittorio Cogliati Dezza, presidente di Legambiente, «La conferma del sequestro anche se con diritto d’uso e degli arresti dei proprietari dell’azienda conferma l’impianto accusatorio del grave inquinamento ambientale causato dall’impianto. La strada tracciata dal Tribunale del Riesame è quella che prevede un forte e rapido ammodernamento degli impianti che per Legambiente deve avvenire attraverso una nuova Aia, che obbligherebbe l’azienda a procedere agli interventi. Gli atti d’intesa firmati negli anni scorsi a Taranto tra l’Ilva e le Istituzioni locali e nazionali ci hanno, infatti, insegnato che con l’azienda il gentleman agreement, come dimostrano le dichiarazioni di ieri di Ferrante, non funziona e che l’Ilva intraprende azioni per diminuire le proprie emissioni inquinanti solo se costretta. Non bastano le quattro modifiche impiantistiche di cui si è parlato ieri nella riunione tra enti locali e azienda, ma a nostro parere, come già ribadito con le nostre osservazioni inviate al ministro dell’ambiente Corrado Clini subito dopo la riapertura del procedimento di Aia dello scorso marzo, sono 26 i punti sostanziali e irrinunciabili da adottare nell’impianto e nelle pratiche operative per ridurre efficacemente le emissioni»“.
Così descrive la situazione l’Associazione Antimafie Rita Atria: “Non dimentichiamo che la prima denuncia è del 1965, la prima manifestazione ambientalista del 1971, la città è dal 1991 è “area a elevato rischio ambientale”, la prima condanna in tribunale per “getto di polveri” è del 1982 (quindici giorni di reclusione per il direttore dell’allora Italsider), la prima condanna per Emilio Riva arriva per i “parchi minerali” nel 2002, nel 2007 Emilio Riva e suo figlio Claudio furono anche interdetti dall’esercizio dell’attività industriale, e fu loro inibita la possibilità di contrattare con la pubblica amministrazione. Davanti a questa realtà le Istituzioni non hanno saputo tutelare i cittadini, non hanno saputo imporre il rispetto della legalità e del diritto. …
Riteniamo, pertanto, gravissime le dichiarazioni del Presidente della Regione Puglia Nichi Vendola sull’ambientalismo isterico che consideriamo offensive e dannose. Il Presidente Vendola, così come molti altri esponenti istituzionali, dovrebbe chiedere scusa alla città e all’Italia intera per i ritardi e le omissioni istituzionali. L’azione di questi anni dell’associazionismo merita di essere ringraziato e sostenuto, a partire dall’Associazione PeaceLink il cui Presidente, prof. Alessandro Marescotti, è stato oggetto la settimana scorsa di una provocatoria contestazione durante il suo intervento ad un convegno pubblico. Le associazioni ambientaliste hanno, in questi anni, svolto i compiti di tutela pubblica e di analisi ambientale che spettavano alle Istituzioni. E dal mondo ambientalista è venuta l’unica proposta di progetto di bonifica dell’area e che salverebbe anche i posti di lavoro. Dimostrazione che il cosiddetto “ricatto occupazionale”, di cui in questi giorni si sono fatti portavoce alcuni politici locali e nazionali, gran parte della stampa locale e nazionale (comprese trasmissioni di quello che dovrebbe essere “servizio pubblico”) e, purtroppo, alcuni sindacalisti è falso ed è solo un favore alla proprietà e a chi non vuole un futuro migliore per Taranto: in tutta Europa esistono esempi di riconversioni industriali e, anche, di poli siderurgici che non mettono a rischio la salute pubblica e l’ambiente. Sono questi gli esempi che Taranto deve seguire, smontando tale ricatto e costruendo un avvenire dove l’aria possa tornare pulita e i cittadini non debbano vivere con il timore di ammalarsi o di vedere nascere figli già condannati”.
PeaceLink, associazione ambientalista con base proprio a Taranto, è da anni in prima linea per combattere una battaglia tanto vitale quanto difficile. Scriveva qualche giorno fa Lidia Giannotti per Peacelink:” Si è fatto in modo che i molti processi penali per inquinamento (a partire dal 1982) e le sentenze di condanna (a carico dell’Italsider prima e poi della società della famiglia Riva) non destassero clamore, infischiandosene del perpetrarsi dell’inquinamento, di nuovi reati e dell’evidenza di effetti sempre più devastanti per la popolazione.
Oggi che c’è più attenzione, si prova a far passare l’idea – folle – che la malattia dipenda dalla fotografia che ne è stata fatta e dal chirurgo (le associazioni che si sono adoperate in questi anni e i magistrati, intervenuti a tutela della legalità e della salute di tutti).
Ma alcune dichiarazioni e reazioni, che evitano accuratamente di parlare della città e delle vittime – quasi come al cospetto di una fanciulla offerta in sacrificio e riemersa all’improvviso dal mare – sono di ottusa e grottesca cecità.
Come proprio molti politici amano ripetere, sono dichiarazioni che offendono una seconda volta i morti e gli ammalati, i sempre più bambini con tumori infantili (il picco aumenterà a lungo e si fermerà solo dopo il 2020), le donne la cui vita ha significato passare da un capezzale all’altro, gli operatori economici le cui attività sono state spazzate via, i cervelli in fuga da un territorio il cui destino è sempre stato deciso altrove. Sono dichiarazioni che rispecchiano un’irresponsabilità dimostrata per anni e che non prospettano niente di buono per nessuno.
Sarebbe meglio, piuttosto, portare rispetto a chi ha sofferto e mettersi a lavorare sul serio, per il presente e il futuro di questi duecento mila cittadini.
Così facendo, si eviterebbe di prendere in giro anche il resto degli italiani, minacciato quasi ovunque ormai da rischi ambientali e sanitari atroci e spesso evitabilissimi, a condizione di adottare comportamenti sani e innanzitutto leciti – si ricorda che chi non esprime solidarietà alle vittime a volte solidarizza con chi è accusato di aver addomesticato i controllori – e di effettuare investimenti in tecnologie moderne che salvaguardino la persona. Tutto questo può avvenire solo in un contesto di politiche serie, trasparenti e lungimiranti”.
Un’acciaieria ubicata nel centro di una città popolosa è un non senso che testimonia come non possiamo impartire nessuna lezione ambientalista ai paesi inquinanti. Prima di dare lezioni guardiamo in casa nostra .