Lo hanno scritto i periti chimici nella prima parte della maxi perizia consegnata qualche giorno fa in procura. Le emissioni di gas, vapori, polveri e diossina che ogni giorno, e ogni notte, vengono sputate fuori dai camini dell’Ilva crea pericoli per la salute dei suoi lavoratori e della gente. Gli animali abbattuti nei mesi scorsi perché ammalatisi pascolando nell’area industriale di Taranto avevano quasi impresso il marchio di quelle emissioni, e l’azienda non ha fatto tutto quello che le compete per evitare quei pericoli. Queste le conclusioni dei tre super esperti che hanno anche precisato: «Le emissioni rientrano nei limiti di legge».
Il tutto è nato da un esposto depositato dal comune di Taranto un anno e mezzo fa, arrivato due anni dopo la denuncia, circostanziata e precisa, di Peacelink Taranto che dopo aver fatto analizzare al laboratorio INCA di Lecce un campione di formaggio, scoprirono che era contaminato da diossine, furani e PCB oltre i limiti di legge. La somma di diossine e PCB supera di 3 volte i limiti di legge. Un bambino di 20 kg non ne dovrebbe mangiare più di 2 grammi per non superare la DGA (Dose Giornaliera Accettabile). L’avvocato Luca Masera, che segue il sindaco tarantino Ippazio Stefàno, ha evidenziato la «drammatica incidenza di patologie oncologiche tra la popolazione residente nell’area della provincia e soprattutto del comune di Taranto, incidenza del tutto anomala rispetto a quella che si riscontra in province o regioni limitrofe», ha scritto nel documento. E si citano i due studi epidemiologici del 2007 e del 2009, dove queste evidenze sono eclatanti. Tra i maschi c’è un eccesso di tumore del polmone, della vescica, della pleura. Le diossine sarebbero, secondo gli studi, responsabili dei troppi linfoma non Hodgkin comparsi indifferentemente tra uomini e donne, anche in giovane età.
Basti pensare che nel 2005 fuoriusciva dall’Ilva il 93% delle emissioni globali in Italia e due anni dopo l’Arpa pugliese evidenziò valori largamente più elevati degli standard adottati a livello europeo. Per la legge italiana più permissiva che altrove, l’Ilva ha potuto sempre dichiarare di «essere nella norma». Una norma che ha causato un’infinita catena di lutti. Secondo i chimici, poi, la contaminazione degli animali, poi abbattuti, che pascolavano nelle vicinanze del Siderurgico, viene legata soprattutto all’ attività di sinterizzazione, nell’area agglomerazione della più grande fabbrica di acciaio d’Europa. Un’azienda, l’Ilva di Taranto che per i periti non ha assolto a tutti i compiti in materia di tutela ambientale. Perché, ad esempio, dalle analisi «emerge la quantità rilevante di polveri che viene rilasciata dagli impianti, anche dopo gli interventi di adeguamento». L’indice viene puntato soprattutto sulle polveri che fuoriescono dall’acciaieria per il fenomeno dello “slopping”, cioè quell’espulsione di gas e nubi rossastre dai camini. Non solo, ma poiché le emissioni provengono da impianti nei quali sono svolte anche attività di recupero, già dal lontano 17 agosto 1999 le stesse emissioni «dovevano essere presidiate da sistemi di controllo automatico in continuo dei parametri inquinanti», che invece non ci sono.
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