Intervista al Presidente della Federazione dei Verdi Angelo Bonelli sullo scandalo intercettazioni che coinvolge Nichi Vendola e sulla vicenda Ilva di Taranto
Angelo Bonelli, Presidente della Federazione dei Verdi, nel 2012 è stato candidato sindaco a Taranto. Ottenendo il 12% dei consensi, è stato il terzo candidato più votato. Che idea si è fatto della vicenda delle intercettazioni di Vendola con il portavoce dell’Ilva, si tratta di una montatura mediatica o c’è qualcosa di grave?
Non mi pare assolutamente una montatura mediatica, perché se fosse una montatura vorrebbe dire che quelle intercettazioni non sono vere. In realtà purtroppo lo sono e quello che mi colpisce è anche la risposta che Vendola ha dato subito dopo alle agenzie. Lui presenterà querela contro Il Fatto Quotidiano, dicendo che lui non rideva per i morti, ma del gesto di per sé, di Archinà che levava il microfono. È proprio questo il punto che mi lascia veramente senza parole, perché quel giornalista stava facendo il proprio dovere, nel chiedere a Riva le ragioni per cui ha raccontato una realtà diversa a Taranto; secondo Riva tutto era pulito, si stava bene … Avevano presentato da poco il rapporto sullo stato dell’ambiente e il giornalista gli obietta: “In realtà la gente muore sempre di tumore”. E Archinà – tra l’altro arrestato perché avrebbe dato questa tangente di diverse decine di migliaia di euro a un altro personaggio e altri comportamenti– gli leva il microfono. Per quale ragione Vendola non si indigna del fatto che viene levato un microfono a un giornalista che fa domande scomode a chi poi verrà arrestato? Questo è un qualcosa che veramente colpisce, ma non c’è nessun codice penale che possa sanzionare le responsabilità morali, che in questa vicenda sono grandissime. Specialmente quelle di un amministratore pubblico che deve amministrare la vita e il futuro della propria popolazione. A Taranto è accaduta una cosa che è sotto gli occhi di tutti. Quello che le istituzioni dovevano fare, lo ha fatto la Procura della Repubblica di Taranto. La verità è stata resa nota dalla Procura della Repubblica di Taranto, non dall’azione delle istituzioni. Ciò è innegabile, purtroppo è la triste verità. Le indagini epidemiologiche, che avrebbe dovuto fare la Regione Puglia, per stabilire il nesso di relazione tra inquinamento, patologie e mortalità, sono state effettuate dalla Procura di Taranto, non dalla Regione Puglia. Sono fatti molto gravi, indipendentemente dal fatto che Vendola possa essere indagato e da quello che deciderà il GUP sul rinvio a giudizio; da queste intercettazioni emerge una responsabilità morale che dovrebbe portare Vendola a dimettersi. Anche perché lui ha appena chiesto le dimissioni del Ministro dell’Interno Cancellieri. Io mi domando: come si fa a chiedere le dimissioni della Cancellieri per una serie di telefonate e non porsi il problema di presentare le proprie dimissioni?
Vendola in un’altra occasione la definì: “un forestiero che non conosce né ama Taranto, un piccolo avvoltoio che cinicamente è venuto qui per costruire la sua fortuna elettorale”. Lei come risponderebbe a questa affermazione?
Si commenta da sola. Sono stato invitato da tantissime associazioni ambientaliste, e non solo, di Taranto, e da un appello di alcune centinaia di cittadini tarantini che mi avevano chiesto di venirmi a candidare a Taranto; ci ho pensato lungamente. Quando di Taranto non si parlava nei grandi media nazionali, quando Taranto era una città del Sud massacrata dall’inquinamento, decisi di fare questo perché pensavo che fosse giusto metterci la faccia. Non ho mai insultato Vendola e non l’ho mai attaccato, ma mi sono preso gli insulti. Vendola ha detto anche qualcosa di ancor più pesante, ha detto – se andate a vedere il video pubblicato da Il Fatto Quotidiano – che lui avrebbe consentito “persino alle minoranze” di poter vivere in quella città. Non penso che ci sia nessuna persona – Presidente della Ragione, Presidente della Repubblica – che garantisca, per sua decisione personale, il diritto alle minoranze di poter vivere. Noto che se questa frase l’avesse pronunciata qualcun altro ci sarebbero state reazioni focose anche da parte di tutto il mondo degli intellettuali italiani; non capisco perché non ci sia stata una reazione rispetto a questa affermazione molto grave. Ho fatto una battaglia alla luce del sole su un tema rilevante, perché attiene alla tutela della salute, ma anche a come si possano poi avviare progetti di riconversione industriale, prendendo ad esempio molti paesi del mondo che hanno superato questo problema. Il tema dell’inquinamento a Taranto è importante come il tema delle patologie.
Veniamo al dunque. Come risolvere concretamente la situazione di Taranto? Che ne pensa del progetto C.A.N.A.P.A. di Canapuglia per la riconversione dell’area?
Penso che a Taranto occorra avere il coraggio di affrontare la situazione, affermando che questo tipo di impianto – almeno per l’area a caldo – non è più compatibile con la presenza della città. Quindi la fabbrica deve essere chiusa. Ma nello stesso tempo va presentato un progetto che consenta di mantenere i livelli occupazionali delle persone e, anzi, di rilanciarli. In che maniera? Prendendo gli esempi virtuosi. Pittsburgh era la città dell’acciaio, produceva il 50% dell’acciaio americano. Negli Anni Settanta ha chiuso e oggi ha una città che il Prodotto Interno Lordo tra i più alti degli Stati Uniti d’America; è un concentrato di piccole e medie imprese dell’innovazione tecnologica, delle nanotecnologie, della green economy, della ricerca, ci sono campus biomedici e tante altre cose. Bilbao è una città altamente industrializzata e fortemente inquinata, ma oggi quando parliamo di Bilbao ci ricordiamo il Guggenheim Museum e i circuiti turistici. Anche quella è una città che oggi ha un PIL elevato. Come raggiungere questi obiettivi? Noi abbiamo indicato ad esempio lo strumento della leva fiscale. Istituire l’area no tax a Taranto, per permettere a piccole e medie imprese di venire a Taranto e di poter investire con una fiscalità estremamente agevolata o azzerata, potrebbe consentire nei primi 5 anni l’atterraggio di tante imprese e quindi per produrre nuova occupazione. Secondo punto, l’avvio delle bonifiche. A Taranto il principio del “chi inquina paga” deve essere applicato. Non è possibile che nessuno si sia mai posto il problema di imporre l’avvio delle bonifiche ai Riva, che hanno fatto profitti utili per almeno 3-4 miliardi di euro, e parte glieli ha sequestrati la Finanza. Ecco, le bonifiche comporterebbero lavoro per gli operai, attraverso anche l’utilizzazione del Fondo Sociale Europeo per la formazione dei lavoratori, sull’esempio di quanto accaduto anche in Germania. Poi tanti altri progetti possono essere realizzati: il modello Pittsburgh, Bilbao, C.A.N.A.P.A. … Ma è chiaro che c’è la necessità di un progetto che rilanci quel territorio, non lo lasci abbandonato e che trasformi un’area che prima era produttiva, altamente inquinata e inquinante – che produceva mortalità, come dice la Procura – in un’area che sappia ricostruire e far passare Taranto da un’economia alla diossina, e quindi un’economia di morte, a un’economia della vita. Questo è l’elemento fondamentale. È possibile, solo che non c’è la volontà politica di percorrere un progetto così ambizioso, perché c’è una politica mediocre che purtroppo vuole continuare a proporre un modello che è assolutamente devastante per Taranto.
Dal punto di vista politico chi è il maggiore responsabile della vicenda ILVA?
Ci sono delle responsabilità che vengono da lontano, ancor prima di Vendola; passano per vari governi, ma certamente c’è stata la capacità dell’ILVA di sapersi costruire relazioni e coperture che nel corso degli anni gli hanno consentito di poter fare quello che ha fatto. I Riva hanno lo hanno fatto, ma il problema è che qualcuno glielo ha consentito. Le responsabilità, siccome io non sono un giudice, dovrà individuarle la magistratura con il processo che si aprirà e quando ci saranno tra pochi giorni le richieste di rinvio a giudizio.
L’ILVA di Taranto viene spesso citata come un emblema del conflitto tra lavoro e salute, tra industria e ambiente. Sempre in questa intercettazione, Vendola rivela che la FIOM sarebbe il migliore alleato dei Riva, quindi in questo caso verrebbe meno l’altro conflitto storico, quello tra capitale e lavoro; ci troveremmo di fronte ad una alleanza tra sindacato e industriali. La questione di Taranto, al di là della vicenda specifica, dovrebbe forse essere compresa più in generale nell’attuale modo di produzione capitalistico in crisi?
Storicamente i sindacati hanno sempre collaborato con le industrie per trovare accordi sul lavoro e francamente non vedo nulla di male nel cercare di intervenire per migliorare i circuiti produttivi. Il punto però è che non ho mai visto in questi anni a Taranto, tranne rarissime eccezioni, sindacati che scendevano in piazza per tutelare la salute dei cittadini. Quando c’è stato l’intervento del sequestro della Procura, i sindacati organizzavano manifestazioni per bloccare la città, perché legittimamente gli operai pensavano di perdere il posto di lavoro e quindi erano angosciati. Però negli anni precedenti, quando i figli degli operai morivano nelle corsie degli ospedali, non ho mai visto sindacati organizzare blocchi stradali. Questo è un problema che va posto, così come lo sto ponendo in questo momento. Per quanto riguarda la contraddizione lavoro-salute, faccio notare che coloro i quali parlano di superare questa contraddizione sono gli stessi che la ripropongono con modelli produttivi altamente inquinanti. Ecco perché è fondamentale che ci sia una svolta culturale epocale e storica nel nostro paese per mettere al centro il tema della riconversione industriale, ecologica e imitare quello che hanno fatto in altri paesi. Dobbiamo guardare alle nuove economie e alle nuove frontiere. La crisi economica e sociale che stiamo vivendo è dettata anche dalla crisi di questi modelli produttivi, quindi da questo punto di vista vi è la necessità di andare oltre e garantire occupazione stabile e pulita per superare questa contraddizione. Gli operai sono anche genitori, hanno figli, e quando tornano a casa hanno il diritto di guardare negli occhi i propri famigliari, augurandosi che non si ammalino. Un dato: in Italia sei milioni di cittadini vivono in aree altamente inquinate, Taranto è solo una delle tante. Questi cittadini non hanno alcun tipo di garanzia sul loro stato di salute, su che cosa mangiano, su tutta una serie di questioni. Chi si occupa di loro? Abbiamo suoli agricoli contaminati, divieti di pascolo, contaminazioni delle falde, cittadini che non sanno come siano stati contaminati, economie agricole distrutte (vedi la Terra dei Fuochi), ma nessuno dice niente. Questo è un problema serio. Proponiamo un modello diverso, che non è solo teoria o utopia, tanto per parlare, perché in realtà in altre parti del mondo è stato applicato con cognizione, in quanto c’è stata una politica che ha avuto il coraggio di voltare pagina, anche dal punto di vista storico. Qui invece c’è una mediocrità e in alcuni purtroppo – come la vicenda tarantina dimostra – anche concussione e corruzione.Ma è possibile superare questo modello di sviluppo restando ancorati ai trattati neoliberisti europei?
Questi trattati vanno assolutamente modificati, anche se bisogna ovviamente capire di quali trattati parliamo. Mi sento fortemente europeista, penso però che non ci sia un’unità politica e che questi trattati siano stati costruiti pensando maggiormente alla finanza, e non invece per determinare integrazione sociale e garantire ai cittadini tutta una serie di tutele, tra cui anche quella ambientale e sanitaria.
Sempre restando in una prospettiva europea, il prossimo anno ci saranno le elezioni per l’europarlamento, dove al momento è presente un nutrito gruppo di ecologisti, ma non vi è neppure un europarlamentare italiano: come si muoverà la Federazione dei Verdi?
Noi avremo il congresso tra due settimane. Proporrò – vedremo se sarà accolta questa proposta – la presentazione di una lista ecologista verde autonoma, con un progetto legato a quello dei movimenti verdi europei, guardando anche alla dimensione tedesca e francese, perché abbiamo un Partito Verde Europeo. C’è una differenza sostanziale tra noi e il Movimento 5 Stelle, perché pensiamo che la sfida sia quella di riuscire a costruire le giuste alleanze con sani progetti di governo che determino veramente il cambiamento, come è avvenuto in altre parti d’Europa. Presenteremo le nostre liste ecologiste verdi autonome, con una nostra proposta e un nostro programma alle prossime elezioni europee. Certo, dovremmo raccogliere le firme perché non abbiamo rappresentanti in parlamento.
Un’ultima domanda, visto che ha citato il M5S. Lo scorso giugno due deputati tarantini del M5S, Labriola e Furnari, sono passati al gruppo misto adducendo come motivo il “disinteresse del M5S nei confronti della vicenda ILVA”. Secondo lei come si sta muovendo il M5S su questa questione? I due parlamentari cercavano solo una scusa per andarsene, oppure le loro preoccupazioni sono fondate?
Francamente faccio fatica a entrare nel dibattito che c’è stato all’interno del Movimento 5 Stelle e che poi ha portato loro due a uscire, perché la discussione riguardava le diarie e accuse di varia natura, cui sinceramente non sono interessato, non me ne sono occupato e non ho mai approfondito il tema. Noto però una differenza tra quello che i deputati del M5S pensano di Taranto, che è in linea anche con le nostre posizioni, e quello che pensa Grillo, che è sostanzialmente diverso. Grillo ha avuto modo di dire più volte che per lui l’ILVA deve continuare a produrre e che l’area a caldo deve essere mantenuta. C’è secondo me una differenza di valutazione tra i deputati cinque stelle e Grillo. Noi sappiamo però che il Movimento 5 Stelle è Grillo.
Grazie per questa conversazione.
Intervista a cura di Piotr Zygulski