Ilva Taranto: è scontro tra diritto alla vita e diritto al lavoro

Creato il 02 agosto 2012 da Ediltecnicoit @EdiltecnicoIT

L’Ilva S.p.A. del Gruppo Riva si occupa prevalentemente della produzione e trasformazione dell’acciaio. Il nome deriva dal latino ed identifica l’isola d’Elba, dalla quale veniva estratto il minerale di ferro lavorato nei primi altiforni costruiti in Italia a fine Ottocento.

L’Ilva nasce nel 1905 dalla fusione delle attività siderurgiche dei gruppi Elba di Portoferraio e della famiglia romana Bondi, che aveva realizzato un altoforno a Piombino.

Il più importante stabilimento italiano della società è situato a Taranto, e costituisce anche uno dei maggiori complessi industriali per la lavorazione dell’acciaio a livello europeo.

A Taranto lo stabilimento dell’Ilva è denominato la città dell’acciaio, che si estende su una superficie che è due volte e mezzo la città, 15 milioni di metri quadrati. Navi, tonnellate di minerali, oleodotti, grandi gru, presse, lame di acciaio, tubi, un panorama industriale che si snoda accanto ad un quartiere: Tamburini, anche detto quartiere della morte.

A febbraio di quest’anno l’incidente probatorio al Tribunale di via Marche di Taranto con al centro la maxi perizia sull’inquinamento prodotto dall’Ilva.

In Camera di Consiglio i 4 periti del pool incaricato dal gip Patrizia Todisco relazionano sull’indagine svolta per più di un anno.

Il corposo rapporto ha messo sotto accusa la grande fabbrica dell’acciaio per le emissioni incontrollate di fumi e polveri che inondano la città (leggi anche “Ilva spa Taranto, inquinamento e lavoro non vanno d’accordo” ).

Particolarmente inquinanti risultano i parchi minerali, le cokerie e il camino E312 dell’impianto di agglomerazione, le cui emissioni risultano dannose per la salute umana (e non solo).

Ieri sera (01/08) una fiaccolata, oggi (02/08) una manifestazione organizzata dall’Uilm, Fim e Fiom, domani (03/08) i giudici del riesame decideranno se confermare o meno gli arresti domiciliari e il sequestro dello stabilimento (leggi anche “Ilva, Clini: “procedure di valutazione ambientale troppo lunghe”“).

Gli indagati sono Emilio Riva, suo figlio Nicola, Luigi Capogrosso, direttore dello stabilimento siderurgico, e Angelo Cavallo, responsabile dell’area agglomerato.

Le accuse a loro carico: disastro colposo e doloso, avvelenamento di sostanze alimentari, omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, danneggiamento aggravato di beni pubblici, getto e sversamento di sostanze pericolose e inquinamento atmosferico.

Nella perizia sulle emissioni viene evidenziata la correlazione che c’è tra la diossina trovata nel corpo degli animali abbattuti nel corso degli anni (in quanto contaminati) e la diossina emessa dai camini del polo siderurgico.

Nella perizia epidemiologica, che ha preso in esame sette anni, si leggono dati sconcertanti:

  • un totale di 11.550 morti, con una media di 1.650 morti all’anno, soprattutto per cause cardiovascolari e respiratorie (nei quartieri di Tamburi e Borgo, i più vicini al polo industriale, 637 morti, in media 91 morti all’anno, attribuibili ai superamenti dei limiti di PM10);
  • un totale di 26.999 ricoveri, con una media di 3.857 ricoveri all’anno, soprattutto per cause cardiache, respiratorie, e cerebrovascolari (nei quartieri di Tamburi e Borgo, 4.536 ricoveri, una media di 648 ricoveri all’anno, attribuibili ai suddetti superamenti).

La perizia epidemiologica si conclude con un’affermazione molto forte: “L’esposizione continuata agli inquinanti dell’atmosfera emessi dall’impianto siderurgico ha causato e causa nella popolazione fenomeni degenerativi di apparati diversi dell’organismo umano che si traducono in eventi di malattia e di morte“.

I cittadini, lavoratori e non dell’Ilva, scendono in piazza. Chiedono giustizia, che venga risanato l’ambiente in cui vivono, ma chiedono anche che il loro posto di lavoro rimanga. E come dar torto loro in un momento storico come quello che ci troviamo ad affrontare?

L’ennesimo scontro insensato tra diritto al lavoro e diritto alla vita: compromessi a cui mai si dovrebbe scendere.

Fonti:

www.wikipedia.it
La Stampa – 02/08/2012
Il Corriere della Sera – 30/07/2012
La Repubblica – 17/02/2012


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