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Immanenza della Vita, dell’Ignoto, del Sacro, del Mistero, dell’Essere

Da Spiritualrationality

Immanenza della Vita, dell’Ignoto, del Sacro, del Mistero, dell’EssereNell’articolo “Origine della vita” ho cercato di mostrare come quelli che chiamiamo “esseri viventi” in realtà non lo siano in quanto possiedono qualche principio vitale proprio ma solo in virtù del fatto che siano in grado di percepire, esprimere e realizzare secondo le proprie caratteristiche il “principio vitale” presente nella realtà in modo immanente ed universale. Uno strumento come una radio, un televisore o un telefonino capta dei segnali presenti nell’ambiente e li riproduce secondo le proprie caratteristiche come mono, stereo, in bianco e nero, a colori, ecc.
Riprendendo l’articolo “L’Ignoto” possiamo orientare la nostra ricerca di verità e di assoluto a questa sorgente ed essenza di vita che pervade, sostiene e anima tutti e tutto come ho cercato di esporre nell’articolo “Panpsichismo”.

Nell’Induismo l’intuizione fondamentale è che la realtà è Una. Il mondo, l’uomo, gli dèi, le cose che sono state, sono e saranno. Tutto questo è l’unica e medesima Realtà: “Tutto è Brahman” (Chandogya Upanisad). E quando la persona ha attinto una conoscenza illuminata, anche lei può dire: “Io sono Brahman” (Brhadaranyaka Upanisad).Il Brahman è l’”Uno, senza secondo” (Chandogya Upanisad).L’io profondo dell’uomo, l’Atman, è anch’esso identico al Brahman. “Questo Atman dentro il mio cuore è più piccolo di un grano di riso o di frumento, di un seme di senape o di un grano di miglio; e tuttavia questo Atman dentro il mio cuore è più grande della terra, più grande dello spazio atmosferico, più grande del cielo…Questo Atman dentro il mio cuore è il Brahman stesso” (Chandogya Upanisad). E per quanto riguarda l’uomo, l’Induismo ripete da secoli la frase di Uddalaka a suo figlio Svetaketu: “Tu sei Quello” (Tat tvam asi) (cfr. Chandogya Upanisad). Viene così riconosciuto che il Brahman-Atman è l’unico Assoluto, la radice e il fondamento di tutto, il Signore che regge e sostiene ogni cosa, la guida interiore e il fine di ogni vivente. In questo senso, il mondo non è creato e non ha consistenza in se stesso. Sia che esso venga concepito come Maya (illusione) presso il saggio Sankara (788-820 d.C.), o venga piuttosto descritto come il gioco di Dio, lila, presso i Visnuiti, esso è l’eterna manifestazione dell’eterno esistente, il volto fenomenico dell’Eterna Persona, la dimora mutevole del Permanente Inabitante. Quando si parla di inizio o di fine, di creazione e di distruzione, le parole si riferiscono ai processi ciclici di apparizione e di sparizione delle cose, di uscita e di rientro delle medesime nella loro eterna Origine.
Tutto ciò che appare è lo stesso Brahman, che si manifesta attraverso ogni cosa. Egli è la Realtà vera di ogni manifestazione. Solo se si considera un fenomeno a sé stante, si può parlare di inizio e di fine, di nascita e di morte; ma il fenomeno stesso è sempre stato in seno al Brahman, e sarà in lui eternamente custodito. Allora l’uomo non muore con la sua morte fisica? Non solo l’uomo non muore, ma in realtà egli non è mai nato. La risposta che Krsna dà ad Arjuna nella Bhagavad Gita è la seguente: “Non ci fu mai un tempo in cui non ero, io, tu, e questi prìncipi tutti, né ci sarà mai un tempo in cui non saremo, noi tutti, dopo questa esistenza. A quel modo che in questo corpo il sé incorporato passa attraverso l’infanzia, la giovinezza e la vecchiaia, così, alla morte, egli assume un altro corpo. Il forte non è su ciò mai perplesso” (2,13-14). In altre parole, l’io profondo di ogni uomo, la verità della sua persona, è l’Atman, ed esso è identico al Brahman. “Egli non nasce e non muore mai, né, essendo stato, v’è tempo in cui non sarà ancora. Innato, eterno, permanente, antico, egli non muore, quando muore il corpo…A quel modo che un uomo abbandona i suoi vecchi vestimenti e ne prende di nuovi, così il suo sé abitante nel corpo abbandona i suoi vecchi corpi e ne prende di nuovi”(Bhagavad Gita, 2, 21-23).  (L’Induismo in generale)

Tutto è Essere, tutto è “Mistero profondo”, tutto è “Sacro” che pervade e costituisce ogni esistenza, ogni nostra esistenza.
Immanenza della Vita, dell’Ignoto, del Sacro, del Mistero, dell’EssereLa differenza del pensiero, della cultura e delle religioni del mondo occidentale, è evidente e radicale rispetto a questa ipotesi: da un lato esistono dualismo, divisione, alterità, alienazione,  inconciliabilità,  giudice e giudicati, spirito e materia, sacro e profano, creatore e creato, bene e male, il peccato e la grazia, ecc.; dall’altro tutti questi aspetti sono solo superficiali ed apparenti, mentre in realtà e fondamentalmente tutto è immanente. Per renderci conto della radicale differenza tra le due spiritualità basta confrontare il Vecchio Testamento, o il “Dies Irae”, o il Giudizio universale di Michelangelo, o testi come “Il Sacro” di Rudolf Otto con il piccolo estratto sulla spiritualità dell’Induismo riportato poco sopra  (L’Induismo in generale).
Immanenza della Vita, dell’Ignoto, del Sacro, del Mistero, dell’EssereLe conseguenze sono molto significative e determinanti anche sulla vita stessa dei singoli individui: da un lato c’è il rapporto di esseri contingenti, creati, dipendenti, limitati, “peccatori”, ecc., con una realtà “totalmente altra”, irraggiungibile, increata, eterna, perfetta, sacra, ecc., dall’altro il rapporto è costituito da una interiorizzazione verso le radici  e l’essenza del nostro stesso essere e, contemporaneamente, con tutta la realtà nella quale e con la quale si è parte e partecipi.
Riprendiamo ancora una volta la metafora dell’onda del mare che nasce, si sviluppa in tante forme e torna a rimescolarsi nel mare di cui è parte.
Rispetto alla comune concezione dell’Induismo aggiungo un aspetto molto importante: non si tratta di una continua ed interminabile ripetizione senza scopo o senso, ma ogni nuova onda si carica di vissuto, esperienza, conoscenza e coscienza che costituisce un arricchimento che verrà poi condiviso con il tutto. (Spunti di riflessione e di dibattito per un possibile SENSO DELLA VITA).
Ancora una volta: “E il naufragar m’è dolce in questo mare


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