Lavorare nel campo dell'accoglienza dei rifugiati che richiedono asilo politico in un'area composta di piccoli paesi nel nord Italia, di questi tempi, è pane per il mio sangue rosso di origine mediterranea d.o.c.
Così quando passeggio con alcuni dei miei 17 Bangla people, sbarcati miracolosamente in pieno ferragosto da barconi sovraffollati provenienti dalla Libia sulle coste napoletane e finiti a prendere il freddo celtico, non posso non fremere tutta alla serie di occhiate che mi trapassano.
Alcune benevole, altre stupite, altre con un sottofondo di "poverini" che aleggia nell'aria.
I miei piccoli Bangla mi fan sentire come una mem·sa·hib, riparandomi col loro ombrello quando piove anche se io non uso ombrelli, neppure quando piove. Ma loro son fatti così e non mi fan portare pesi e non mi fan prender pioggia.
Lo stesso era quando giravo per il paese con 5 o 6 ragazzoni Mali, neri come la notte e alti due metri che vociavano come digeridoo. Sembravo perfino piccola e candida tra di loro.
Eppure non mancano mai le padane voci: come quella volta che circondata da questi atletici maschi maliani sentii l'apprezzamento dell'anziano leghista Ah suma a'post! (siamo a posto!). Certo: le vostre donne in mezzo a tanta negritudine.
Ed io ero beata, sinceramente.
E poi frasi dette ad alta voce, perché io senta, tipo gli diamo pure la cuoca e la colf! (a dire il vero sono responsabile di struttura e loro cucinano da soli, ma vabbè...).
Questa sera invece, mentre lasciavo la struttura, mi sento il finalino di una lunga e probabilmente raffinata analisi sociopolitica che faceva più o meno così (in dialetto piemunteis): che finchè ci saranno i comunisti al potere chi starà bene saranno solo i centri sociali e gli immigrati! E noi dobbiamo pure mantenerli!
Mi piace questo soggettivismo: dove loro, razzisti e leghisti, mantengono sempre qualcuno.
Ma, tanto per fare i conti della serva, provo a raccontare chi stiamo mantenendo coi soldi che il Ministero dell'Interno passa:
ovvero gli educatori professionali (italiani e laureati) come me, per esempio, che rischiavano di rimanere a casa ed invece ora hanno un lavoro.
Le Cooperative Sociali che erano con le pezze al culo e che ora possono tirare un po' il fiato dopo che le banche (italiane) le hanno dissanguate.
Ma anche il compaesano dei nostri amici nordici: il rivenditore di alimentari che sta fatturando con noi circa 1500 euro in più al mese (perché mangiano, i rifugiati). Ed il benzinaio della valle che ci fa il pieno di gasolio, ed il meccanico del paese, perché abbiamo una macchina usata ed ogni tanto si rompe.
Ed i professori precari che, con l'obbligo scolastico che hanno i rifugiati, riescono ad integrare un po' il loro stipendio (italianamente precario), ed il servizio trasporti locale - caro, carissimo - che li porta a scuola le mattine.
Stiamo mantenendo anche il negozio di telefonia della cittadina, perché chiaramente uno dei sogni dei rifugiati è poter comunicare con la famiglia. E per lo stesso motivo i due tabacchini della zona che vendono ricariche Lyca come non facevano da tempo. Ed il supermercato, ed il negozio di abbigliamento...
Perché quello che non si vuole capire è che di quei 35 euro famigerati pro capite/pro die a loro vanno solo 2,5 euro al giorno e non di moneta (che non possiamo dargliene) ma di benefit (oggetti a loro necessari oltre lo stretto necessario).
Quindi, fatti i conti, quel denaro sta facendo girare l'economia della nostra piccola area extraurbana dimenticata ormai dalle industrie, impoverita da un'agricoltura intensiva e lasciata in balia delle scorie nucleari della Sorin-Avogadro in riva a Po.
Ma per comprendere questo raffinato business, che è anche umanitario, bisogna, ahimè, ragionare non con la clava, e neppure con il di poco più evoluto manganello.
E vi lascio con l' immigranto baffuto che preferisco:
no human being is illegal-
immagine dal web, autore sconosciuto