Le morti nei cantieri edilizi sono, dopo gli incidenti automobilistici, la seconda causa di infortuni gravi e morti nell’emirato ma è difficile stabilirne il numero esatto; i loro corpi sono spesso rispediti al paese d’origine in una scatola di legno o dispersi nel deserto. Sempre a Rue89, un osservatore di una ONG che ha voluto mantenere l’anonimato racconta: “Spesso gli operai si sono pesantemente indebitati nei loro paesi per arrivare in Qatar e quasi sempre si vedono i passaporti confiscati e sono costretti a firmare un nuovo contratto di lavoro in arabo che non capsicono e che abbassa il loro salario. Se decidono di fuggire, se si fanno male e non possono continuare a lavorare non hanno alcun mezzo di sussistenza. Avendo infranto il loro contratto possono addirittura finire in qualsiasi momento in galera”.
Nell’Emirato esiste un solo sindacato ma gli stranieri non possono farne parte nonostante ben il 90% delle persone che vivono in Qatar siano cittadini stranieri. E verso gli operai stranieri si arriva molto vicini alla segregazione: giorni nei quali non possono accedere ai centri commerciali, vita in campi di lavoro alla periferia delle grandi città. In un rapporto dello scorso mese di giugno, l’associazione Human Rights Watch definisce precarie le condizioni di vita dei lavoratori stranieri; lo sfruttamento nasce dal sistema della ‘kafala’. Per lavorare o trasferirsi nelle monarchie del Golfo Persico, chiunque ha bisogno di uno sponsor (‘kafil’) che garantisca di fronte alle autorità. In questo modo gli immigrati si trovano alla mercè di padroni senza scrupoli che hanno nelle mani il loro destino.