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Imparare dai romanzi che non ci sono piaciuti

Da Anima Di Carta
Imparare dai romanzi che non ci sono piaciuti Trarre insegnamenti dai romanzi belli, quelli che ci appassionano e che sono ben scritti, dovrebbe essere l'obiettivo di chiunque ama scrivere e vuole migliorarsi. Ma anche da quelli brutti si può ricavare moltissimo, secondo me, a patto che si abbia la pazienza di analizzarli e di proseguire anche quando non ci prendono. E a condizione che, a dispetto di una storia non accattivante, siano scritti decentemente.
Tra i romanzi letti durante l'estate, ce n'è stato uno che ho trovato di una noia estrema (l'unico per fortuna!). Si tratta di La casa che uccide di Kate Wilhelm, una storia a metà tra la fantascienza e il giallo. Mi sono trascinata fino alla fine con grande sforzo, non tanto per la curiosità di sapere come finiva (l'interesse è scemato quasi subito), ma perché a un certo punto mi sono intestardita nel tentativo di capire cosa non funzionasse e se fosse possibile trarre qualche insegnamento.
Anche se probabilmente non conoscete questo romanzo, spero che questa mia analisi possa tornarvi utile. Non si tratta di una recensione, quindi, ma di un "massacro a fin di bene", e non credo di danneggiare la fama dell'autrice, che a quanto so ha parecchie opere pubblicate alle spalle.

Idea non sfruttata fino in fondo


Partiamo dall'idea, che di per sé non è male, ed è alla base della mia scelta iniziale di leggere questo romanzo. Una casa ipertecnologica. Forse ero parecchio condizionata da Apocalisse su Argo, un bellissimo romanzo di fantascienza di Robert Sawyer, che parla di un'intelligenza artificiale che guida un'astronave, una storia anche quella a metà tra il giallo e la fantascienza. Visto che mi era piaciuta molto l'idea di un computer con una sorta di coscienza, pensavo che qualcosa di simile potesse ugualmente catturarmi. Invece no. L'idea qui non è sfruttata fino in fondo, anzi appare molto superficiale. La casa intelligente, automatica e computerizzata, creata da un genio, è alla fin fine solo un edificio con molti congegni e funzioni. Non si può annoverare tra i "personaggi", non ha nulla della personalità affascinante di Jason (il computer del romanzo di Sawyer) e di fatto non è neppure così entusiasmante da lasciare a bocca aperta.
Credo che tra gli errori imperdonabili che possa fare un autore ci sia non usare pienamente l'idea di base, non approfondire le implicazioni, non avere il coraggio di esplorare le conseguenze della premessa su cui si fonda la storia.

Punto di vista sbagliato


Qui c'è secondo me uno dei primi errori fatti dalla scrittrice, che comincia raccontando dal punto di vista di uno dei personaggi e dopo il primo omicidio lo molla, senza mai più tornarci. Oltre al fastidio di questo cambio inaspettato, il punto di vista con cui prosegue l'intero libro appare estremamente freddo, manca di empatia e condiziona in modo massiccio ogni descrizione e il racconto degli eventi. Mentre l'inizio poteva suscitare una qualche simpatia, perché mostrava da vicino uno dei personaggi che era in stretto rapporto con la vittima, dopo l'autrice passa a raccontare con occhi di due investigatori, due personaggi anonimi e cervellotici.
Un punto di vista non adeguato è in grado di rovinare un intero romanzo, perché trascina con sé molti altri aspetti della storia.

Protagonisti insignificanti


Come dicevo sopra, i due personaggi principali sono una coppia di investigatori di mezza età. Anche se ho da poco letto il libro, non sarei in grado di descriverli, perché a conti fatti erano una di quelle coppie non più giovani che si possono incontrare al supermercato, con il sorriso sulle labbra, gentili, affiatati e noiosi, che un secondo dopo hai già dimenticato. Senza particolare personalità. Un paio di volte i due rischiano la vita durante la storia, senza causare alcun batticuore nel lettore.
Oltre tutto, manca un arco di trasformazione, nessuno dei due cambia minimamente e viene appena sfiorato psicologicamente dalle situazioni.
Protagonisti con scarsa personalità e poco spessore psicologico risultano poco coinvolgenti per chi legge.

Descrizioni fredde


L'intera casa del romanzo in questione è descritta in lungo e in largo, con sovrabbondanza di particolari. L'ho trovato più che giustificato, in quanto si tratta di un'ambientazione fondamentale per la trama. Eppure, non è possibile farsene un'idea precisa, ma soprattutto c'è da dire che le descrizioni sono terribilmente noiose e fredde, sicuramente perché hanno un taglio molto "tecnico", e non sono mai coinvolgenti. Forse ciò accade perché vengono filtrate dalla percezione dei due protagonisti, che non sono in effetti che testimoni di quanto accade e quindi conservano un certo distacco. In sostanza, la casa non suscita nessuna emozione, mentre avrebbe potuto essere usata come scenario molto più forte.
Un'ambientazione non sorretta dal punto di vista, descritta in modo asettico, lascia freddo anche il lettore.

Dialoghi pesanti


In un romanzo i dialoghi dovrebbero essere la parte più vivace, ma in questo caso specifico rallentano molto il ritmo, perché sono infarciti da riflessioni logiche e ragionamenti che sembrano non aver mai fine.
Tutto ciò che è eccessivamente dotto andrebbe tenuto fuori dai dialoghi, o perlomeno alleggerito da un pizzico di ironia, che invece in questo caso manca del tutto.

Trama immobile


Altra nota dolente. Come giallo, questo romanzo non suscita curiosità sull'assassino, mentre come romanzo di fantascienza, è debole, c'è poca fantasia. La pecca principale secondo me è nel fatto che la trama in pratica è esilissima, nonostante il volume delle pagine. Succede qualcosa all'inizio (il primo omicidio), poi partono le indagini. Da lì non succede altro, fino ad arrivare al climax. Anche se ci sono altre vittime, la maggior parte del testo è occupato dalle indagini, sostanzialmente cerebrali, che si basano sull'analisi dell'ambiente e della casa. La psicologia dei vari personaggi, nonostante lo sforzo di distinguerli, appare sullo sfondo e non prende realmente parte alla vicenda. Come giallo, avrebbe probabilmente avuto una marcia in più, se il dubbio sulla responsabilità della casa degli omicidi fosse stato più forte, ma in realtà tutto appare da subito fin troppo scontato e senza tensione.
Una trama che cammina pochissimo può funzionare solo se si sposta l'attenzione su altri aspetti, in grado di sorreggere l'attenzione del lettore.
Se dovessi riassumere e dire cosa non funzionava, direi che l'intero romanzo non suscita nessuna empatia. E questo si riflette anche nella prosa, precisa e curata nei termini, ma un po' anonima, con uno stile poco riconoscibile.
Non sempre è facile dire cosa non ci è piaciuto di un romanzo, molto più spesso è un non-so-ché di sfuggente, magari semplicemente non ci prende la storia. Altre volte, come in questo caso, cosa non funziona appare in modo evidente. Ovviamente questo è un punto di vista totalmente soggettivo, ed è possibilissimo che qualcuno abbia invece trovato piacevole questa lettura e non abbia considerato difetti i punti che io ho sottolineato. Tant'è che il libro in questione è edito della Mondadori tra "I classici del giallo".
In ogni caso, a me fare queste considerazioni è stato utile, al pari di quelle che mi capita di fare per i libri più belli. Forse anche perché nelle storie che ci coinvolgono non sappiamo essere così spietati.
Vi è mai capitato di analizzare i romanzi che non vi sono piaciuti? Trovate che possa essere un lavoro utile a migliorare la vostra scrittura?

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