Magazine Diario personale
Alcuni ingredienti sono però basilari, per un impasto che possa dirsi tale. Farina, olio, lievito, acqua potremmo abbinarli a realizzazioni personali, amicizie, amore, esperienze belle, brutte, noiose, rumorose o silenziose.
La farina potrebbe essere la base costruttiva, la quantità variabile di ogni momento relazionale, con amici od estranei. Non mi attira la farina bianca, raffinata e già selezionata da altri. La uso il minimo indispensabile per poter impastare senza incollarmi le mani. Un po’ come un pizzico di ipocrisia per sopravvivere alle formalità di ogni giorno. A me piace tanto impastare con farina integrale, perché delle esperienze e delle persone cerco di non buttare mai via niente, cerco di trattenere tutto, mangio tutto. Ho lo stomaco forte, poi, una volta digerito stipo i bei ricordi da una parte e pure quelli brutti in un altro angolino. Se proprio qualcosa è ripugnante, sono sempre in tempo a evacuare, ma solo dopo averla masticata, sperimentata.L’olio è forse quella sfumatura della personalità e del carattere che permette di convivere meglio o peggio a parità d’impasto con analoghe vicende, con impatto fluido e scorrevole anziché scorbutico e abrasivo. Olio extravergine d’umorismo e autoironia se possibile.Il lievito potrebbe essere la virtù della pazienza e della sensibilità d’animo, che permette di essere accoglienti e dare un senso, facendola lievitare, a tanta farina umana d’altri. Solo una lievitazione tiepida e paziente permette di estrarre il massimo da ogni esperienza, da ogni farina.Boh, quando impasto la mia pagnotta vado a occhio, quindi qua sto andando a braccio, improvviso un poco. Ciascuno si sbizzarrisca come preferisce con le similitudini, magari aggiungendo spezie o semini, andando per tentativi e fallimenti, che è il bello dell'impastarsi.A me ad esempio piace impreziosire con semi di sesamo, captcha e girasole, con bazzecole secondarie, tentativi creativi, distrazioni, gesti a pioggia o a zig zag, insomma una spruzzatina di sorpresa divertita. Però, per me, di tutti gli ingredienti, solo il dolore è quello che può davvero dare nerbo all’impasto.In questa particolare pagnotta umana che mi sto divertendo a improvvisare, l’acqua è fatta di lacrime. Il dolore forgia, esercita e dà un senso a quella capacità di sentire, di porsi in ascolto, indispensabile per entrare in impasto con gli altri e con noi stessi. Sensibilità e virtù, senza sofferenza, servono a poco: anche il cubetto di lievito ha bisogno dell’acqua per sciogliersi.Sono per me le lacrime a tenerci insieme, a renderci impastabili, a volte anche vicendevolmente.Senz’acqua ogni farina finisce con l’infastidire, inzaccherare, soffocare addirittura, riducendo la vita a qualcosa di immangiabile. In un impasto senza lacrime ogni esperienza rimane polvere che non fa presa, una passata di scopa su un pavimento lindo, senza ricordi.Senza lacrime non c’è impasto che tenga, è forse la tristezza l’ingrediente di maggiore amalgama con gli altri. E pure con noi stessi. Le risate, tutt'al più, sono una spolverata di semi di papavero: restano in superficie a lusingare la vista, ma se provi ad assaporarli non sanno di un cazzo (mi dicono a pagnotto ormai sfornato che facciano bene, ok, fanno bene, aggiudicato, ma per me continuano a non sapere di nulla) .Non devono nemmeno essere troppe le lacrime. Se mancano siamo individui aridi, se diventiamo piagnucolosi va in malora tutto l’impasto, non sta insieme più niente. Diventiamo impiastri viscidi e sgradevole, poco credibili e niente affatto edibili, indigesti pure a noi stessi.Anche per questo nella mia pagnotta quello che non metto mai è il sale. Mi piace sentire i sapori semplici, gli umori al naturale, senza forzature, senza esaltatori di sapidità e pathos. Senza aggiungere melodramma al dramma.Non occorre esagerare. Le lacrime sono già salate di loro.
K.
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