di Michele Marsonet. Trovarsi a Pechino quando l’inquinamento raggiunge livelli intollerabili è un’esperienza da non perdere, anche se è facile immaginare che molti la eviterebbero volentieri. Ti trovi immerso in una strana realtà in cui la gente intorno indossa in permanenza mascherine protettive come avviene nelle esercitazioni militari. Il sole scompare del tutto tranne alcuni brevi momenti in cui – aguzzando la vista – si nota un minuscolo disco poco luminoso e lontanissimo, subito dopo inghiottito da una coltre grigio-nera che appare impenetrabile.
Si dice che gli abitanti si siano ormai abituati ai frequentissimi picchi d’inquinamento. Mica vero. Sul “China Daily” del 3 novembre, quotidiano in inglese letto dalla comunità straniera e anche dai cinesi che conoscono la lingua, ho trovato un articolo che la dice lunga in proposito. In realtà pare che chi può permettersi di lasciare la capitale perché è in grado di trovare lavoro altrove lo faccia senza remore, e il numero aumenta di anno in anno. Una vera e propria fuga insomma, pur se limitata a una élite. Il cittadino cinese medio è escluso e deve pertanto rassegnarsi a convivere con un fenomeno che ha condotto a una crescita esponenziale delle malattie respiratorie (anche mortali).
Si tratta del prezzo che il colosso asiatico sta pagando al vertiginoso sviluppo industriale degli ultimi decenni, nei quali nessuna attenzione è stata prestata ai fattori ambientali poiché, soprattutto da Deng Xiaoping in avanti, l’industrializzazione è diventato l’unico obiettivo dei piani economici periodici lanciati dal partito comunista. Una situazione già verificatasi nell’Unione Sovietica ai tempi di Stalin e poi proseguita con i suoi successori.
Ma, in fondo, non occorre andare così lontano. Chi scrive ha vissuto gli anni giovanili nel quartiere genovese di Sestri Ponente, allora roccaforte del PCI. Sestri è contigua a Cornigliano, che al tempo era la sede del colosso Italsider. L’acciaio veniva prodotto a ritmi incessanti e neppure lì erano presenti remore ambientali. Ricordo che mia madre toglieva ogni mattina dal davanzale una spessa coltre di polvere rossastra senza lamentarsi troppo. La fabbrica dava lavoro e non esistevano alternative. Proprio come gli attuali abitanti di Pechino mio padre, operaio all’Italsider, manteneva la famiglia grazie all’acciaio e l’idea di trasferirsi in un luogo più sano non lo sfiorava neppure. Convisse con una grave forma di silicosi fino alla sua scomparsa, ma riuscì comunque a garantire un livello di vita decoroso alla famiglia e a far studiare il figlio, cioè il sottoscritto.
La situazione sociale è più o meno analoga per tantissimi abitanti della capitale cinese, ma un simile livello di inquinamento non l’avevo mai visto. Chi si lamenta dello smog milanese dovrebbe fare un rapido viaggio a Pechino per capire che, al confronto, le nostre città non sono poi messe così male.
Al fattore inquinamento si aggiunge la sensazione di trovarsi in una megalopoli che ha serbato pochissimo del suo aspetto originario. A giudicare dallo splendore della Città Proibita e del Palazzo d’estate dell’imperatore doveva essere una città bellissima. Cosa resta ai nostri giorni? Ben poco. Qualche tempio isolato, alcuni vecchi vicoli – gli Hutong – conservati per miracolo, la celebre piazza Tienanmen che del resto fa parte della stessa Città Proibita. La Grande Muraglia, spesso inserita tra le attrazioni di Pechino, dista circa 70 km.
Ora quasi tutto è nuovo. La capitale è formata da una serie di anelli concentrici in cui enormi grattacieli si alternano ai caseggiati popolari, anch’essi altissimi e che rammentano dei formicai. E’ come se la rivoluzione avesse voluto sradicare per sempre la Cina di una volta con i suoi templi, le sue pagode, i suoi negozi tradizionali. L’ansia di rinnovamento ha tuttavia condotto all’anonimato, poiché è impossibile distinguere un quartiere dall’altro a parte le splendide – ma pochissime – isole nominate in precedenza.
Non è accaduto ovunque. La parte antica di Nanchino, per esempio, è stata preservata assai meglio. La capitale, tuttavia, è il centro del potere. E qui il partito ha voluto dimostrare la sua forza cancellando l’antico per creare la Cina nuova. Forse neppure nell’Unione Sovietica si era arrivati a tanto, giacché a Mosca chiese a monasteri furono sì in gran parte trasformati in musei, e tuttavia conservati, tant’è vero che molti sono tornati alle loro funzioni originarie.
In attesa di capire come si evolverà lo scenario politico cinese nei prossimi anni, a Pechino la cappa pressoché permanente di smog e i grattacieli che spuntano ovunque come funghi non riescono a celare i lampi di splendore che i pochi luoghi antichi rimasti trasmettono ancora. Basta andare nella Città Proibita per trovarsi in un mondo radicalmente diverso, nel quale l’inquinamento non sembra avere diritto di cittadinanza.
Featured image, tramonto sulla città proibita, fonte Wikipedia.
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