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Settembre è stato un mese singolare per il blog qui presente e per la blogosfera in generale. Su quest’ultima vorrei spendere giusto anch’io due rapide parole, anche se con esagerato ritardo rispetto a molti dei miei vicini di blog, sull’annosa questione degli spazi che chiudono i battenti. La chiusura di un blog di spessore (Strategie evolutive, ndr) ha dato il via ad una discussione molto importante sul significato del blogging in questa avanzata fase 2.0 del mondo digitale. Ci si è chiesti se e quanto vale la pena spendere il proprio tempo e le proprie energie per popolare di contenuti un angolo di web che pare ormai interessare a pochi irriducibili utenti e, devo ammettere, che diversi spunti molto interessanti sono sorti anche da parte di blogger insospettabili. Potevo quindi esimermi dall’aggiungere un mio piccolo pensiero?
Il blog è ancora, almeno per me, uno spazio importante e credo lo sarà ancora per molto. Ritengo che poter avere un proprio spazio con il quale comunicare il proprio pensiero oltre la fatidica soglia dei cinquecento caratteri sia non solo piacevole, ma sia addirittura un diritto e un dovere. Scrivere non sapendo se e chi ci verrà a leggere, in quanti ci verranno a leggere e, aggiungo, quando ci verranno a leggere (se oggi, domani, tra cinque o tra dieci anni) non è una limitazione. La vedo piuttosto come un’opportunità. Scrivo con la consapevolezza e il piacere di mettere a disposizione la mia casa, un posto dove chiunque un giorno, anche dopo che me ne sarò andato, potrà entrare e guardare liberamente in giro, aprendo i cassetti e frugando tra le cose che ho lasciato (almeno finché Google, il padrone di casa, non deciderà di spianare tutto per far posto a un centro commerciale). Le statistiche, vale a dire il numero di visitatori al giorno, piuttosto che il numero di followers, piuttosto che il numero di commenti sono solo una parte del meccanismo. All’inizio ci facevo ampiamente caso, ma ad un certo punto mi è scattata una molla e una vocina saggia mi ha suggerito di spostare il punto di vista su un piano differente. Visite e commenti, per carità, sono importanti, ma se dovessero smettere di arrivare credo che finirei per addebitarne la colpa solo a me stesso, vuoi per la penosità progressiva dei miei contenuti, vuoi per la cronica mancanza di interazione con i colleghi blogger che, è forse quasi superfluo ricordarlo, rappresentano la quintessenza stessa di Obsidian Mirror. Semmai un giorno dovesse succedere che The Obsidian Mirror finisca in soffitta sarà esclusivamente per cause di forza maggiore perché, mi pare ovvio, le nostre vite cambiano, noi cambiamo e quello che siamo oggi non saremo domani. Oggi la vita mi concede un po’ di tempo per dedicarmi a questa mia passione e, aguzzando la vista, non vedo grosse nuvole all’orizzonte che possano turbare la mia quiete. Oddio, qualche nuvoletta leggera sta già facendo un pochino d’ombra su Obsploitation, il mio blog di scorta, ma questo è un altro discorso che preferisco rimandare al 2015.
Nonostante tutto The Obsidian Mirror è ancora un blog giovane, un blog che di strada ne deve fare parecchia e che deve acquisire un bel po’ di esperienza prima di poter anche solo cercare di comprendere le ragioni di chi, avendo iniziato molto tempo prima, ha deciso di cambiare rotta e cercare nuovi stimoli altrove. La prova è che su questo blog, tanto per dirne una, non sono ancora apparsi personaggi in vena di fare danni per il solo gusto di farlo (si chiamano troll, giusto?), quei personaggi che per ora si dilettano a scartavetrare la pazienza di blogger affermati lasciando (per ora) in pace noialtri e i nostri piccoli giardini. Chissà, forse un giorno arriverà qualcuno che riuscirà a farmi cambiare idea, ma per ora mi godo la pace di questo angolo di blogosfera che, non so a voi, ma a me piace un sacco.
Settembre è stato un mese singolare per il blog qui presente, dicevo all’inizio. Singolare perché è riuscito ad andare avanti da solo, come da programmazione, mentre il sottoscritto se ne stava tranquillamente in vacanza per i fatti suoi. Qualcuno se ne è accorto? No? Bene! Esperimento riuscito alla perfezione! Le ferie settembrine sono un evento che capita raramente dalle mie parti. Anzi, se ci penso bene credo non mi sia mai successo prima. Di solito spendo tutti i miei giorni all’inizio dell’estate, tra giugno e luglio, quando i raggi del sole mi consigliano di levarmi dalle palle e rendermi irreperibile. Quest’anno invece ho resistito impavidamente come non mai e all’inizio di settembre avevo ancora in saccoccia la terza magica settimana da giocarmi alla roulette. Un’occhiata alla carta geografica, un paio di considerazioni sullo stato di salute del portafoglio e via di Booking.com!
La destinazione di quest’anno è stata la Finlandia, terra di babbi natale e di renne (queste ultime tra l’altro sono molto buone in umido). Ricordate il mio itinerario scozzese dello scorso anno? La logica che ho seguito quest’anno è stata praticamente la stessa. Volo su Helsinki, macchina a noleggio, pernottamenti più o meno già individuati lungo il percorso prestabilito e nient’altro che io e la mia fidanzata, abituale compagna di avventure ai quattro angoli del mondo, a goderci quegli interminabili nastri d’asfalto attraverso le infinite foreste scandinave. Le immagini a corredo di questo post, ormai lo avrete capito, sono una piccola testimonianza dei nostri giorni finlandesi. Contro ogni più ovvia previsione la capitale è alla fine quella che ci è piaciuta di meno. Troppa gente, troppi turisti, troppa… normalità. Molto meglio perdersi nelle strade deserte della vecchia Rauma, un piccolo agglomerato di case di legno sulla costa occidentale dove abbiamo potuto passeggiare ascoltando al contempo l’eco dei nostri passi. Molto meglio alloggiare in quel vecchio cottage solitario nei pressi di Savonlinna, a una cinquantina di chilometri dal confine con la Russia, dove i nostri unici compagni erano gli scoiattoli e altri non meglio identificati mammiferi. Molto meglio anche cazzeggiare la sera tra bar e negozi di Tampere che, sebbene sia una grande città, pare essere molto più a misura d’uomo di qualsiasi altra città europea.
Potrei stare ore a raccontare avventure ed episodi, ma temo che alla fine potrei rischiare di diventare noioso. Ecco, una domanda ci è sorta spontanea mentre ci spostavamo di sito in sito: dove diavolo sono i finlandesi? Una terra meravigliosa, una stagione meravigliosa, ma di abitanti del luogo raramente se ne vede l’ombra. Tutti chiusi nelle proprie case, forse? In Italia anche nel più piccolo e sperduto paese dell’Appennino si possono trovare, se non altro, quattro vecchietti intenti a giocare a briscola nella piazza del paese. In Finlandia niente di tutto ciò. Anche a metà della mattina del sabato solo strade deserte. Alla lunga quasi viene l’angoscia, quasi viene da pensare che vi sia stata una Zombie Apocalypse a livello planetario e che noi, mannaggia, ce la siamo persa.
I nostri giorni finlandesi, ahimè, sono volati via in un istante. È rimasto solo un po’ di amaro in bocca per ciò che non siamo riusciti a vedere e fare, ma la panza, almeno quella, ce la siamo portata a casa bella piena, grazie all’assidua frequentazione dei “ravintola” locali. Ci siamo portati a casa qualcosa come un paio di migliaia di fotografie, tra cui quelle che vedete qui e alcune altre che sono andate a rimpinguare le sezioni chiese, castelli e cimiteri del blog (sezioni a cui non contribuisco spesso ma che, almeno una volta all’anno, riesco a ritoccare).Questo è tutto per oggi. Vi lascio con quella che per noi è stata la colonna sonora di questa settimana di vacanza settembrina. Una colonna sonora “Made in Finland” , naturalmente...
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