Per una serie di fortuiti eventi, troppo lunga e noiosa da spiegare, quest’anno abbiamo già consumato il nostro buono viaggio dell’estate acchiappando un volo low cost per Palermo e fuggendo dalla piatta pianura per ben quattro giorni.
Non ero mai stata prima in Sicilia e ne sono rimasta innamorata. I colori, i profumi, il cibo, la bellezza, i contrasti, la gente: piccoli assaggi che mi hanno lasciato il desiderio di tornare il prima possibile.
Chi mi conosce sa che sono una fanatica dell’organizzazione dei viaggi, cerco di sfruttare al meglio ogni momento e di cogliere il senso delle città che visito. Questo non vuol dire battere a tappeto tutti i monumenti, musei e chiese spuntando a una a una le attrazioni segnate nella guida. Significa parlare con la gente, mangiare la cucina tipica, perdersi nelle strade girando senza meta e visitare almeno i punti fermi che definiscono una città, che siano chiese, ristoranti o punti panoramici.
Anche a Palermo è stato così. Purtroppo non potevo contare sulle mie solite energie e sull’invincibilità del mio stomaco e ho dovuto fare delle scelte. Niente panino con la meusa o con le panelle, niente granita siciliana ma una dedizione totale ai dolci: in tre giorni sono riuscita a mangiare 4 cannoli, 1 cannolicchio, 2 cassatine e un’iris. Tenendo conto che ultimamente mi tocca mangiare come un uccellino sono molto soddisfatta. Peccato aver scoperto che non riuscirò mai a prepararmi da sola il cannolo siciliano: bisogna essere consapevoli dei propri limiti, soprattutto in cucina. Ora sganciate il nome di una pasticceria siciliana nei dintorni di Padova che quella in Piazza Mazzini ha appena chiuso!
Quando siamo atterrati a Punta Raisi, la prima impressione che ho avuto è stata di stupore. Nella mia totale ignoranza sulla geografia dell’isola, credevo di trovarmi davanti una terra piatta, non montagne tagliate nella roccia e verdi prati quasi verticali. Il contrasto con il mare azzurro, gli scogli neri e la natura dirompente delle bouganville e delle piante grasse, onnipresenti anche in autostrada, mi ha subito affascinato. Poi di colpo mi sono commossa, mentre passavamo l’uscita per Capaci, e ha iniziato a formarsi in me l’idea che la Sicilia sia più generosa con la natura che con gli uomini.
Siamo arrivati il sabato pomeriggio. La sera prima il Palermo aveva ratificato la promozione in serie A con record storico di punteggio. La città era colma di bandierine rosanere, manifesti ed esaltazione: le gioie del calcio, sport che non seguo ma apprezzo quando sa unire ed esaltare i cuori. Per fortuna questo è stato un fine settimana lungo di festa e la città era quasi deserta: abbiamo preso un’auto a noleggio e siamo riusciti a riconsegnarla integra alla fine della vacanza.
Ora, se posso dare un consiglio, guidare in centro a Palermo è un’esperienza per pochi: ci vogliono nervi saldi, capacità di adattamento e riflessi istantanei. Il traffico è lento, si viaggia generalmente sotto i limiti, ma la precedenza è una questione di volontà, la segnaletica orizzontale è inesistente e l’uso delle frecce di segnalazione è perso nella notte dei tempi. Immaginatevi una gran confusione con file di auto che si fanno e si disfano mentre le strade, perfettamente asfaltate, si allargano, si restringono, si chiudono di colpo. Motorini e pedoni appaiono da tutti i lati, le bancarelle occupano gli angoli degli incroci, il parcheggio è creativo, sia nella scelta degli stalli di sosta che nelle manovre di entrata e uscita. Un microcosmo con le sue leggi non scritte.
Il sabato pomeriggio siamo riusciti a parcheggiare, conoscere la nostra ospite e subito fare un giro per il Capo, una zona del centro storico, e vedere la Cattedrale illuminata dagli ultimi raggi del tramonto. A seguire una deliziosa cena di pesce all’aperto dove ho scoperto le polpette di sarde, divine! Abbiamo passeggiato per vie e vicoli, in una notte fresca dove il profumo delle bouganville copriva quello dei cumuli ordinati di spazzatura, gatti magri dalle lunghe gambe saltavano tra macerie e splendidi palazzi. Magnificenza e decadenza, strettamente intrecciate, come se una non potesse esistere senza l’altra.
La domenica è stata dedicata alla visita del centro antico della città: l’Albergheria, con Ballarò, la Kalsa e la Vucciria. Ho imparato che il centro antico è diviso in quattro zone: al centro ci sono i Quattro Canti, all’intersezione tra via Maqueda e via Vittorio Emanuele. Lungo queste direttrici si sviluppano i quattro quartieri storici, mentre verso ovest c’è la città ottocentesca. Tutto intorno si espande Palermo, immensa.
Abbiamo iniziato con il Palazzo dei Normanni e la Cappella Palatina. Era prestissimo e siamo riusciti a vederla da soli, senza gruppi rumorosi di turisti. Un’esperienza forte che mi ha commosso: si entra in questa cappella ricavata al primo piano del palazzo, sede del Consiglio Regionale, e subito si viene investiti dalla ricchezza dell’apparato musivo, un bagno d’oro dove si fondono le arti delle maestranze bizantine, mussulmane e latine, in una ricchezza di personaggi e dettagli che chiede di essere ammirata e studiata con calma. Tutto è bellezza, tutto è rifinito con cura, non esistono spazi vuoti ma solo elegante decoro. Un gioiello che da solo merita il viaggio.
Anche il resto del Palazzo merita la visita, con le sue ampie sale, i ricchi arredi e questa commistione di stili che rende nuova e affascinante la visita. Era domenica e quindi quasi tutte le sale erano aperte, se volete visitarlo vi raccomando di studiare bene i tempi perchè essendoci uffici pubblici spesso molte non sono accessibili, la stessa cappella è visitabile per brevi fasce temporali in cui facilmente si accumulano turisti e comitive.
Usciti dal Palazzo ci siamo immersi nell’Albergheria e attratti dalle cupole rosa abbiamo raggiunto S. Giovanni degli Eremiti e il suo incantevole giardino con un delizioso chiostro, molto più belli della chiesa in sé, piuttosto spoglia.
Tornando sui nostri passi abbiamo raggiunto Piazza della Vittoria, con il bel giardino di Villa Bonanno, ricco di palme dietro le quali spunta il profilo della cattedrale. Domenica era giorno di comunioni e le chiese erano gremite di bambine vestite da spose e parenti in gran tiro. Siamo riusciti a vedere poco delle prime ma ci siamo rifatti con le seconde: e quando ci ricapita? Girovagando per le strette viuzze siamo arrivati al mercato di Ballarò: un tripudio di pesce fresco, frutta e verdura, cibo di strada e bancarelle con qualsiasi tipo di merce. Mi ha colpito vedere uomini che vendevano pacchetti di sigarette, i grossi tonni e i pescespada che riempivano la vista, tanti tipi di ortaggi che qui al nord non ci sono, siciliani, africani e indiani che lavoravano fianco a fianco senza inutili ghettizzazioni, animali, cover di cellulari, urla e risate, tanto lavoro e tanta gentilezza. Seguendo il nastro di bancarelle abbiamo attraversato piazze, vie fatiscenti, visto chiese e palazzi imponenti e corrosi dal tempo e dall’incuria. Pareva di essere sul set di un film, mi aspettavo da un momento all’altro di vedere una telecamera sulla mia testa, tanto la scena era densa.
Usciti dall’Albergheria ci siamo trovati alla fine di via Maqueda e abbiamo iniziato la risalita verso i Quattro Canti. L’obiettivo era cercare un posto dove mangiare, ma non abbiamo potuto fare a meno di fermarci a vedere La Martorana, la Chiesa di S. Cataldo lì a fianco, S. Caterina, la fontana della vergogna (fontana Pretoria) e la chiesa di San Giuseppe dei Teatini. Solo quest’ultima era visitabile, le altre ci aspettano per il prossimo viaggio.
Nel pomeriggio abbiamo cambiato scenario e ci siamo portati in Piazza della Marina, nella Kalsa, dove abbiamo sbirciato gli ultimi banchetti del mercato delle pulci e ci siamo riposati nel bellissimo parco all’ombra di un imponente ficus magnolioides, il più antico di Europa. Si tratta di un albero straordinario: il fogliame lucido ricorda quello della Magnolia mentre la struttura è composta da colonne che si espandono tutto intorno a sostenere la pesante chioma. Sono le radici che scendono direttamente dai rami e fanno da sostegno naturale a questa pianta meravigliosa, tipica delle foreste pluviali. Per chi si ricorda sembra l’albero dove la piccola Flo e la sua famiglia costruivano casa nell’isola deserta. Come potevo non innnamorarmene? L’esemplare europeo più grande è sempre a Palermo, all’orto botanico, ma purtroppo non ho avuto tempo per vederlo (e io adoro gli orti botanici).
La nostra esplorazione della Kalsa è continuata con Piazza della Magione e S. Maria dello Spasimo. In tutti e due i casi si tratta di ruderi impressionanti: il primo è rimasto a testimonianza dei bombardamenti subiti dalla città, la seconda è stata recuperata dopo aver subito diversi cambi d’uso nei secoli, anche se la volta crollata nel Settecento non è più stata ricostruita. Sono spazi urbani ricchi di significato, riportati in vita nonostante la desolazione in cui si trovavano. La piazza è diventata sede della movida giovanile, luogo d’incontro per concerti e manifestazioni pro legalità. Nella chiesa e negli ambienti attigui si svolge il Seacily jazz festival.
Non ancora sazi di cibo panormita, ci siamo diretti all’Antica Focacceria S.Francesco, luogo simbolo di Palermo, dove abbiamo gustato l’arancino alla norma più buono della nostra vita! Peccato fossimo piuttosto sazi altrimenti avrei razziato l’intero bancone.
Decisi a terminare il giro del centro storico, ci siamo diretti alla Vucciria dove abbiamo vagato senza meta trovandoci prima in piazza Garraffello, una piazza fatiscente sede di numerose installazioni artistiche abusive, con tanto di artista che arringava la folla, poi siamo sbucati sulla solita via Maqueda e infine ci siamo diretti verso il porto, ricordandoci così che Palermo si sviluppa lungo la costa.
Il giorno successivo doveva essere dedicato ad almeno un bagno in mare (l’acqua è terribilmente invitante) ma il brutto tempo ha modificato i nostri piani. Siamo così partiti alla volta di Monreale dove abbiamo visitato la famosa cattedrale con uno dei chiostri più belli che abbia mai visto, con le sue colonne binate ricoperte di mosaici, i capitelli finemente scolpiti e il contrasto tra la pietra calda, gialla, e il verde del giardino, con un ciuffo di palme al centro come ciliegina sulla torta. Il tempo di un cannolo e di una larga occhiata alla conca d’oro dall’alto e ci siamo diretti verso Cefalù.
Cefalù è un paesino delizioso il cui nucleo antico si sviluppa su una lingua di terra che si tuffa nel mare. Alle spalle un’imponente monte sulla cui cima si trovano i resti della città originaria, visitabili per chi abbia fiato e voglia, visto che ci vuole un’ora di salita per visitarli. Noi ci siamo limitati a percorrere le vie principali, pedonali e ricche di negozietti, ben curate e ricche di fiori. La pioggia non ci ha permesso di ammirare meglio la città ma la vista dall’alto sulla via del ritorno rimarrà sempre impressa nei miei ricordi.
Non ancora sazi di Sicilia, siamo ritornati verso Palermo, abbiamo saltato Mondello visto il cielo cupo, e siamo andati a Sferracavallo, sul lato opposto rispetto a Punta Gallo. Da lì lo sguardo si apre sul mare, sull’isola delle Femmine, e su un sole capace di incendiare il cielo prima di tramontare dietro un promontorio. Siamo riusciti anche a fare una breve passeggiata nella riserva orientata di Capo Gallo, lungo un bel sentiero immerso nella vegetazione, prati in fiore e enormi piante grasse sferzate dal vento. Un incanto, soprattutto perchè eravamo quasi gli unici escursionisti.
Il martedì mattina, prima di raggiungere l’aeroporto, ci siamo concessi una ricca colazione da Spinnato, nella parte ottocentesca di Palermo. Tutta un’altra città, con le strade larghe ed alberate, palazzi ordinati e negozi d’alta moda. Sono riuscita così a vedere almeno dall’esterno il Politeama e il teatro Massimo, al confine tra due delle tante anime di questa città.
E’ stato un viaggio breve ma intenso, ricco di sensazioni ed emozioni, e mi ha lasciato un forte desiderio di tornare presto in questa meravigliosa isola.