Ricordo distintamente la sera della vigilia dello scorso Natale. Lavoravo in una profumeria e stavo facendo provare due fragranze ad una signora indecisa; a quel punto le sue figlie hanno di concerto optato per una delle due e lei mi ha guardato come se cercasse un ultimo consiglio. Al che io le ho semplicemente detto “Signora, vox populi, vox dei”. Ricordo ancora la faccia incredula della signora mentre mi diceva “Addirittura? Ma conosce il latino?” “Sì, signora, ho studiato latino e greco al liceo ed ho anche frequentato per un anno Lettere Antiche prima di passare ad Ingegneria Edile”. La sua faccia è passata dall’incredulo allo sbigottito accompagnata da un caloroso “Beh, complimenti!”. Probabilmente la signora in questione non leggerà mai questo post, ma volevo affettuosamente dirle che il suo sbigottimento era del tutto fuori luogo perché lavorare in una profumeria non fa di me una cerebrolesa. Anzi, le dirò di più, fare la vendeuse, come si dice nel mio ambiente, o commessa, come si dice nel resto del mondo, non fa di me una persona superficiale come non lo fa di nessuna delle mie colleghe di qualsiasi settore. Anzi, signora, il suo stupore un po’ offende me e la mia categoria, ma non si preoccupi, non sono rancorosa, mal che vada la prossima volta che la rivedo le consiglierò una fragranza terribile per il suo ph.
Scherzi a parte, il cappello di questo post è puramente indicativo di una delle tante situazioni piuttosto sgradevoli in cui mi sono trovata nella mia vita, dettate da prime impressioni che probabilmente suscito nelle persone. Ricordo altrettanto chiaramente un episodio svoltosi a ricevimento dal professore di Fisica 1 il primo anno di Ingegneria. Mi ero recata da lui per avere delucidazioni su un argomento svolto a lezione che non mi era chiaro (del resto poco chiara mi era tutta la materia che stavo praticamente studiando da autodidatta provenendo appunto da studi classici). Dopo un fiacco tentativo di spiegarmi il problema, con una certa svogliatezza e suppongo (forse malignamente) con una certa malizia il docente mi disse: “comunque sono certo che una ragazza carina come lei troverà qualcuno che l’aiuti a capire la materia”. Il fatto che fossi una ragazza con un aspetto probabilmente piacente faceva automaticamente di me una stupida.
Sono stati diversi episodi del genere ad alimentare una consapevolezza in me: indurre un’impressione di superficialità sulle persone è la mia arma per non creare alcun tipo di aspettativa. Forse ho esacerbato alcune mie inclinazioni proprio in virtù di questa consapevolezza: adesso il mio obiettivo è diventare biondissima, perché essere bionda mi dispensa dall’apparire intelligente. Personalmente non ho alcun pregiudizio tricologico, ma non so per quale intrinseca motivazione le bionde continuano ad essere considerate più superficiali, come se la chiarezza di un pigmento fosse metafora di una presunta nitidezza mentale. Probabilmente chi ha questa impressione ritiene che le donne che impiegano il loro tempo a conservare i loro riflessi fulvi non hanno tempo da dedicare ad attività cerebrali (o che l’ammoniaca passa capillarmente dal follicolo al cervello).
Parliamo poi della passione per la cosmetica: conoscere a memoria i numeri dei pennelli MAC o i nomi di tutti i rossetti rossi in commercio fa automaticamente di me una persona frivola. Invece se un uomo ricorda l’elenco di tutti i capocannonieri dei campionati dal 1975 al 1990 è un prodigio di memoria. Così come frequentare serialmente ogni vernissage, mostra, biennale, triennale, esposizione, galleria, fa di una persona non un presenzialista ma un intellettuale, poco importa se tale persona non ha mai letto due righe di Tolstoj. Sinceramente non mi interessa in che modo le persone trascorrono il proprio tempo libero, ma certo non li giudico in base alle proprie passioni, che come dice la parola stessa, derivano da un impulso irrazionale che non deve essere giudicato. Collezionare scarpe, dischi vintage o tappi di bottiglia non rappresenta quello che una persona è, rappresenta quello che ad una persona piace e la differenza è abissale.
In fin dei conti le impressione sbagliate delle persone che non mi conoscono non mi hanno mai scalfito, sono anzi qualcosa di cui sorrido dall’alto della consapevolezza di quello che sono. Mi trafiggono invece i pregiudizi delle persone che amo, che purtroppo talvolta feriscono a causa della fiducia malriposta. Mi è capitato di subire il pregiudizio di una persona che conosco da molto tempo, che credevo mi conoscesse in maniera più completa delle altre, che improvvisamente ha iniziato a guardarmi con occhi diversi, forse perché vedeva una me che non riconosceva. Questo per me è stato un anno di svolta sotto vari punti di vista: mi sono trovata ad un passaggio in cui un Giano bifronte guardava al mio passato, governato dalla mia natura un po’ tragica, mentre l’altro guardava il futuro, in cui spadroneggiava una prepotente gioia di vivere. Il problema delle persone che hanno gioia di vivere, che ridono sempre, che si divertono in ogni circostanza, anche nella più spiacevole, è che rischiano di essere tacciate di superficialità. Io credo che chi ha la gioia dentro di sé abbia raggiunto il nirvana della saggezza, perché ha capito l’essenza della vita (lungi da me ritenere di aver superato tale traguardo, ma il mio cammino va in quella direzione). Tuttavia non è facile essere ben capiti da chi non conosce pienamente la gioia di vivere, per questo io sono stata guardata con occhi di pena, se non disprezzo, da chi non mi aspettavo perché conosceva bene la mia indole più profonda, quella del passato. È una grande delusione capire che persone con cui hai un legame speciale ti giudicano con impressioni sbagliate, che non si interessano più di quello che sei ma si fermano a quello che appari: è un po’ come realizzare un enorme castello di carta per poi appiccargli un fuoco, non resta nulla.
Ma la consolazione della vita è che c’è sempre qualcosa che ti conforta, cioè quelle persone che sanno esattamente chi sei, che ti amano incondizionatamente sia che le trascini a vedere l’ultimo film di Malick, sia che parli per tre o quattro ore di vestiti, perché nessuna impressione può far cambiar loro idea su quello che sei davvero quindi puoi tranquillamente piangere sulla loro spalla per il tuo mal di vivere o sghignazzare parlando di vuoto con qualche mojito di troppo in testa.
E io le ho queste persone, la mia ancora di salvezza in un mare di pregiudizi.