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Improvisation

Creato il 09 luglio 2013 da Cultura Salentina

9 luglio 2013 di Redazione

di Giorgio D’Aurelio

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Rocco Gliubizzi, “Jazz” (olio su tela)

Entro nella piccola, accogliente saletta.
Loro sono già arrivati, ma da poco…stanno accordando i loro strumenti.
Il mio è sempre lì, al suo posto.
Sembra che non si stanchi mai di aspettarmi.
Saluto i ragazzi e mi preparo anch’io.
Bacchette, spazzole, leggio, partitura…
C’è tutto.
Mi siedo sul tondo sgabello nero, pronto a cominciare.
Do un’occhiata al mio strumento.
È bello, affascinante, attraente…ogni volta che mi siedo su quello sgabello è come se fosse la prima.
Il languido luccichio dei piatti attira il mio sguardo trasmettendomi un’incredibile sensazione di rilassatezza; i tamburi, attraversati dalla luce trasparente e semplice del lume posto ad un angolo della stanza, sembrano nuovamente invitarmi a instaurare con loro quella mistica intesa musicale che ci lega ormai da tempo.
I ragazzi sono quasi pronti.
Non resisto.
Impugno le spazzole.
Comincio a suonare.
Il fruscio dei fili metallici delle spazzole sulla pelle sabbiata del rullante è sempre stato, per me, qualcosa di magico.
Sembra che con il loro lieve sibilo lo strumento mi parli dicendo con tono calmo e pacato che va tutto bene, e non c’è nulla di cui preoccuparsi.
È simile ad un gatto che fa le fusa, se dolcemente accarezzato.
Ho voglia di jazz…
Jazz caldo, lento, impercettibile…rassicurante.
Comincio a scandire i movimenti col charleston, ma con tocco leggero perché il suo suono non sia troppo penetrante.
Qualche colpo di grancassa, giusto accennato, per dare un po’di calore al ritmo.
E poi via.
Mi sento assorbito, fuso col mio strumento in una relazione misteriosa e sensuale.
Il rullante è come una tavolozza bianca sulla quale gli armoniosi movimenti delle spazzole sembrano il pennello di un pittore che ha scelto un soggetto tanto bello quanto difficile da ritrarre:
la musica.
Il ritmo del mio respiro si adegua a quello dello strumento e i battiti del mio cuore vengono scanditi dai bassi e pulsanti colpi della grancassa.
I ragazzi sono pronti.
Un piccolo fill per invitare un altro strumento a partecipare a questo magico dialogo fatto di suoni e ritmo.
Entra il mio preferito: il basso.
Un ingresso caldo, avvolgente, armonioso…semplice e non troppo pretenzioso.
Il suo suono mi pervade con un brivido che si diffonde per tutto il corpo.
Le sue note basse e profonde riempiono il mio ritmo e lo completano dandogli più continuità e armonia.
Mi è sempre piaciuto il basso perché basso e batteria sono sempre stati legati tra loro da uno stretto rapporto musicale: uno dà il ritmo e l’altro lo completa, dandogli più espressione e musicalità.
Sono due strumenti che devono fidarsi l’uno dell’altro ed è bellissimo vivere e percepire questo rapporto d’intesa e di piena fiducia.
È come se un solo musicista suonasse simultaneamente due strumenti diversi.
Entrano anche piano e chitarra, insieme.
Ci siamo tutti. Ottimo.
Comincia uno scambio di idee, suoni, impressioni, emozioni…senza dire una parola.
È magico comunicare senza parlare.
Mi concentro sul ritmo, chiudo gli occhi.
Voglio vedere la musica.
Il bello della musica è che ognuno, chiudendo gli occhi, può vederla in modo diverso, secondo la sua soggettività.
Ecco che qualcuno vuole farsi sentire di più.
Il piano.
Tutti noi abbassiamo la nostra voce per ascoltare meglio che cosa ci vuole dire.
Si esprime con un armonioso e completo mix di suoni profondi e chiari.
Gli lasciamo spazio e prestiamo attenzione al suo messaggio.
Un messaggio così semplice, eppure così difficile da esprimere a parole.
Solo chi ha vissuto questa esperienza può capire fino in fondo cosa voglio dire.
Il piano conclude, sfumando, il suo messaggio.
È la volta della chitarra.
Il suo discorso è più veloce e deciso di quello del piano.
Le sue frasi si susseguono in un fluire continuo e scorrevole accompagnate dalle nostre, più basse e compatte.
È molto bello stare a sentire qualcuno che ha qualcosa da dire, e se poi quel qualcuno sa parlare con padronanza e proprietà di linguaggio il suo discorso è ancora più piacevole all’ascolto.
I suoi suoni acuti e limpidi si stagliano nelle nostre menti, lasciandoci un’emozione difficile da dimenticare.
Tocca al basso.
Gli altri due tacciono…
La sua voce, bassa e soffusa, è difficile da ascoltare anche se si parla sottovoce.
Io ho il piacere di continuare ad accompagnarlo.
È come se, col mio ritmo, io sostenessi e accentuassi tutto quello che sta dicendo, pienamente d’accordo con le sue affermazioni.
Anche il basso ha concluso…
Piano e chitarra tornano a farsi sentire.
Adesso tocca a me dire qualcosa.
È percepibile, nell’aria, l’attesa degli altri strumenti che vogliono ascoltare i miei pensieri, le mie emozioni, il mio messaggio, che io desidero trasmettere loro nel modo più chiaro, spontaneo e semplice possibile.
Lascio che sia lo strumento a parlare, senza paura o timori.
I piatti vibrano, fremono, danzano stimolati dai colpi delle spazzole.
I tamburi imprimono forza e vigore al mio messaggio e, ogni tanto, il rullante dà un tocco più vivace e incisivo alle mie frasi.
La cassa e il charleston, con il loro pulsare ritmico, tengono unito il mio discorso dandogli un filo conduttore.
Ho quasi finito anche io.
Un’ultima frase per ringraziare dell’ascolto che mi hanno prestato e ritorno a dare normalmente il ritmo.
È ora di concludere.
Il piano e la chitarra accennano per l’ultima volta la melodia, piccolo stacco di basso, finale a sfumare sui piatti…
Un classico.
Nella saletta piomba un silenzio denso e magico.
Ci guardiamo negli occhi.
Nessuno dice niente…
Ci siamo già detti tutto.


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